Non un nuovo movimento, ma un Movimento nuovo foto

Quella che Francesco Papaleo, teologo, chiama RELAZIONE FONDATIVA    

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    Cosa accadrà non lo sappiamo di certo, quello che ci siamo chiesti, prima di decidere se pubblicare quello che lo stesso autore ha chiamato “papellis” al di la di cosa ne pensassimo è: ma non siamo per primi noi a richiamare all’impegno ed al senso civico ed etico?

    riceviamo e pubblichiamo:

    Premesso che la sovranità popolare si esprime necessariamente attraverso i partiti politici; premesso che per imporsi sulla scena politica un partito deve essere radicalmente diverso dagli altri, come insegnano la fede e la storia; tutto ciò premesso si svolge la seguente relazione.

    1.La Sovranità

    Precisato che questa tematica appartiene al livello superiore della politica e solo indirettamente alla politica locale, va detto a chiare lettere che la sovranità è di Dio, del vero Dio, riconoscibile per certi segni chiari. La Chiesa lo proclama in molti modi. L’uomo ha parte a questa sovranità, ma le vicende storiche lo hanno portato a pretendere tutta la sovranità e a sostituirsi a Dio (mito della ‘sovranità popolare’). Questo disordine, insieme etico e politico, deve essere ricomposto dando a Dio ciò che è di Dio e all’uomo ciò che è dell’uomo.

    Che cosa è di Dio? Sta scritto: “Io sono il Signore e non cederò ad altri la mia gloria! (Is.42,8)”. E la Chiesa conferma: “Urge sentire Dio come Padre, riverirlo come Legislatore, temerlo come Giudice (Pio XII)”.

    Che cos’è dell’uomo? La partecipazione -e solo la partecipazione- al governo -e solo al governo- della città! La città dell’uomo ha diritto alla laicità, sì, ma alla laicità di governo non di sovranità assoluta! Il Movimento Francescano dovrebbe porre nella sua welthanshauung questo primo e fondamentale principio: riconoscere al Signore della storia la sovranità che gli spetta di diritto!

     

    2.Etica e politica

    Machiavelli ha separato l’etica dalla politica: etica è tutto ciò che favorisce l’acquisizione e la conservazione del potere del principe. E in questa scia si sono inseriti via via, Bodin, Kant, Hegel che divinizza lo Stato, Nietzche che predica l’uomo forte al di là del bene e del male, e via discorrendo. Ma etica e politica, se differiscono nella causalità formale ed efficiente, si identificano nella causalità materiale ed in quella finale, come medico e medicina: medicina è l’etica; la sua applicazione è la politica. Compito primo della politica è pertanto l’applicazione dell’etica, non la ricerca di quel consenso che conduce a barattare la sua altissima missione di pastorale seconda!

     

    3.Gli oggetti della politica

    La politica ha ad oggetto un triplice bene: ananoetico, dianoetico e perinoetico. Il primo è oggetto ‘per accidens’ della politica; il secondo e il terzo sono oggetti ‘propri’. Ma per la loro stessa natura, il primo ed il secondo suppongono eticità sia nell’oggetto sia nel soggetto, mentre il terzo oggetto suppone eticità essenzialmente solo nel soggetto operante politicamente. Per un movimento che faccia politica a livello locale le prime due questioni sono direttamente secondarie, mentre sono principali ed esiziali per uno stesso movimento che persegua una politica di livello nazionale o internazionale. Pertanto si distingue il piano locale dal piano superiore.

     

    4.La Chiesa e la politica

    La Chiesa ha il dovere di fare politica, perché ha il dovere di fare etica, con la quale coincide materialiter e finaliter.  D’altra parte, la Chiesa ha sempre fatto politica, ma non come avrebbe dovuto. Lo slogan in auge nella prima Repubblica e tipico della mentalità e della cultura democristiana: “Far politica da cristiani”, deve cedere il passo ad un altro slogan, e cioè: “Far la politica dei cristiani”! Perché il primo slogan implica un impegno privato dei cristiani e con le loro personali virtù etiche; il secondo, invece, implica un loro impegno pubblico e con le virtù dianoetiche. E la differenza non è da poco conto!

    E poiché la Chiesa è il corpo mistico del Cristo ed insieme il popolo di Dio, la Chiesa deve fare politica, ma nella distinzione di ruoli e compiti: la Chiesa come gerarchia, nella definzione dei princìpi e della dottrina e come sostegno pratico nei mezzi; la Chiesa come popolo di Dio, nel perseguimento pratico della dottrina, ovviamente nell’ulteriore distinzione dei ruoli: rispettivamente come gruppo dirigente -secondo il principio sociologico che sono sempre le minoranze organizzate che fanno la storia- e come sostegno elettorale da parte di tutto il corpo ecclesiale.

     

    5.Il compito della teologia morale

    Comunemente la teologia morale studia ed applica i princìpi etici fino alla prossimità dell’azione, lasciando poi il giudizio ultimo pratico alla soggettività della coscienza. Ciò non basta. La teologia morale deve farsi carico di studiare quanto più estesamente le diverse e complesse circostanze dell’azione politica, con l’ausilio di quelle che Aristotele chiamerebbe le ‘technai’, e che oggi rispondono al nome di scienze pratiche, come la sociologia, la psicologia, l’antropologia e naturalmente l’economia, che in un certo senso è fondamentale per il discorso politico.

     

    6.Il bene comune

    Il concetto di ‘bene comune’ è comunemente frainteso ed a triplice titolo. In primo luogo, perchè lo si intende come somma di beni individuali, mentre invece esso è il bene che è comune a tutti e a ciascuno, cioè il bene che appartiene alla natura come vita comune, come desideri comuni, come attese comuni, come bisogni comuni, come leggi comuni, come patria comune e via di seguito; in secondo luogo, perché in questi beni vi si includono diritti che in realtà tali non sono, come quei supposti diritti che forzano il dettame delle inclinazioni naturali, su cui il vero diritto poggia le sue fondamenta; in terzo luogo, perché dal suo concetto viene escluso il bene divino, cioè la partecipazione al consorzio di vita soprannaturale mediante l’ordine della grazia, delle virtù e dei doni, che è l’aspetto primario del concetto di ‘bene comune’.

     

    7.Unità operativa

    La teologia morale insegna che l’agente deve scegliere il male minore e per converso il bene maggiore, perché, come insegna S.Tommaso “Dio vuole il bene, più questo è grande, più Dio ne vuole l’adempimento”. Questo principio è valido sia per la politica nazionale sia per quella locale. Perciò l’ordine dei programmi politici sia nazionali sia locali può essere ricondotto a sintesi unitaria secondo l’ordine della gerarchia dei beni e dei valori.

     

    8.Spirito Francescano

    Il Francescanesimo è richiamato come spirito di ‘servizio’. Dario Antiseri ha scritto un volumetto su quattro spiriti francescani, richiamando il concetto concreto di ‘individualità’. L’individualismo è alla base della concezione liberale. Ma bisogna distinguere tra liberalismo naturale e le diverse forme di liberalismo assolutizzato, come si dirà più oltre, che per reazione ha provocato quel comunismo-marxista definito da Maritain ‘scheggia impazzita del cristianesimo’. Tuttavia, il liberalismo ha a base la concezione filosofica dell’individualismo, che, nella più corretta versione francescana di ‘personalismo’, si oppone a concetti astratti quali ‘stato’, ‘società’, collettività’ e termini del genere.

    Il Movimento Francescano dovrebbe essere organizzato come una specie di bund o di ordine religioso, sulla base di un individualismo personalistico, contro le strutture impersonali e soffocanti di concezioni astratte che conculcano i diritti concreti delle persone. I francescani secolari si impegnano a costruire un mondo più giusto e più evangelico, promuovendo la giustizia e vivendo lo spirito di san Francesco nel lavoro e nella famiglia, in un cammino di maturazione umana e cristiana. Costoro, emettendo, dopo un periodo di formazione e di approfondimento spirituale e culturale, una vera e propria professione, si impegnano a vivere questa vocazione in ogni situazione in cui si trovano sul piano familiare e lavorativo.

    Il Movimento Francescano dovrebbe realizzare tutto questo, ma nell’ambito dell’impegno e dell’azione politica, con puro spirito di ‘servizio’ e come superiore atto di carità orizzontale. Per questi motivi, se molti sono chiamati a collaborare all’interno del Movimento, ognuno secondo le proprie capacità e carismi, non tutti possono essere proposti alle cariche pubbliche. Fra questi, in casi di dubbi, si potrà far ricorso al sorteggio, pratica che, se riveste a volte aspetti leciti e a volte aspetti illeciti per le cariche spirituali, riveste sempre aspetti leciti, secondo le indicazioni della teologia cattolica, per quanto attiene alle cariche socio-politiche. Gli esperti di amministrazione della macchina politica, poi, si renderanno utili nella formazione di quei soggetti che, per avere attitudini morali e spirituali, sarebbero pertanto idonei a ricoprire cariche pubbliche, ma che tuttavia non hanno pratica di ordinamenti, di leggi e di prassi politiche.

     

    9.Metodologia pitagorica

    Pitagora non ammetteva tutti indiscriminatamente nel suo sodalizio. Richiedeva spirito di gruppo, coesione interna, impegno di crescita umana e spirituale, sforzo per la conquista delle virtù, secondo quanto era possibile in una visione filosofica ancora in fase precristiana. Tale metodologia dovrebbe essere recuperata dal Movimento Francescano e inserita in un contesto etico ovviamente non naturalistico né autonomistico né utilitaristico, ma specificamente cristiano, con esplicito riferimento all’etica eteronomistica, eudemonistica e soprannaturalistica. Tale metodologia contrasta con la metodologia grillina dell’uno vale uno, slogan valido sul piano ontologico della dignità della persona, ma non sul piano dianoetico-speculativo e sul piano etico-pratico.

     

    10.Moderatismo virtuoso

    Una vasta area del mondo politico si richiama ai valori del moderatismo. Ciò è un inganno per le menti semplici, perché il moderatismo politico è altra cosa rispetto al moderatismo etico. Il moderatismo etico è virtuoso, perché implica medietà fra un eccesso e un difetto, e ciò significa perfezione. Il moderatismo politico è invece perverso, perchè annacquamento del senso morale che persegue interessi di parte contro il vero bene comune. Il moderatismo etico fa come il medico che taglia il cancro, salvando la vita. Il moderatismo politico, invece, è come il medico che pretende di curare il cancro con un’aspirina, procurando la morte. Il Movimento Francescano dovrebbe porsi come moderatismo etico, ponendosi perciò stesso al di sopra delle categorie sociologiche di destra, di centro e di sinistra.

     

    11.Con Cristo o con Maometto

    Nel passato ci sono state guerre di religione per motivi politici, originate dal grosso cinghiale che ha invaso la vigna del Signore. Ci sono state rivoluzioni di destra e di sinistra e tanti altri sommovimenti del genere. Ma furono tutte questioni originate all’interno della cristianità. Lo stesso marxismo comunista altro non fu che una reazione al liberalismo selvaggio. Durante la seconda guerra mondiale, Pio XII ebbe a dire: “Tutta la questione è in questi termini: con Cristo o contro Cristo!”.

    Oggi il Papa userebbe un’altra espressione e direbbe: “Tutta la questione oggi è: con Cristo o con Maometto!”. Non basta lo ius soli. E’ necessario tener conto anche  dello ius sanguinis, dello ius culturae, e soprattutto dello ius religionis.

     

    12.Liberismo solidaristico

    Il Liberalismo assoluto, declinato nella sua versione economica, ha dato luogo ai diktat di un’Europa senza scrupoli, tutta tesa a perseguire non il bene dei popoli, ma il bene della finanza, delle banche, del mercato senza regole.

    L’economia non è scienza dei fini, ma dei mezzi, pertanto non ha una funzione assoluta, ma relativa. Gli economisti invece trattano l’economia come se fosse una scienza totalmente autonoma. Ma l’economia ha ad oggetto il lavoro e la produzione dei beni. Il lavoro forma come l’oggetto formale, mentre i beni prodotti formano come l’oggetto materiale, perché è il lavoro che crea la domanda, i salari, il risparmio e i capitali per gli investimenti. E il lavoro, che è l’oggetto specificante dell’economia, secondo la teologia cattolica svolge 4 funzioni: espia, santifica, sostiene e perfeziona.

    Ora, in quanto scienza dei mezzi, è scienza subalterna e pertanto deve essere guidata e corretta: guidata nei suoi fini estrinseci e corretta nei suoi fini intrinseci.

    I fini estrinseci sono quei limiti che l’economia attribuisce come compito allo Stato. I fini intrinseci, invece, sono quei limiti dottrinali derivanti dalle diverse teorie economiche.

    Riguardo ai fini estrinseci, la storia delle teorie e dottrine economiche comprende l’economia o in funzione statalista o in funzione antistatalista o in funzione a-statalista o in funzione di statalismo integrato o in funzione di statalismo previsionista.

    Per la scuola statalista, compito della politica economica non è il benessere, ma l’indipendenza.

    Per la scuola a-statalista, l’economia deve svilupparsi a prescindere dallo Stato.

    Per la scuola anti-statalista, lo Stato deve essere abbattuto.

    Per la scuola dello statalismo integrato, lo Stato deve intervenire o per frenare la concorrenza e proteggere la classe operaia; o per possedere i mezzi di produzione con un settore industriale controllato e un settore di libera iniziativa;  o per controllare e intervenire sulle strutture economiche; o per garantire il quadro giuridico.

    Per la scuola dello statalismo previsionista, che coincide essenzialmente con il neo-capitalismo, il regime capitalista implica proprietà e libertà economica. Ma, mentre la prima è rimasta, la seconda sarebbe scomparsa e dal capitalismo di concorrenza si è giunti al capitalismo di monopolio.  Perciò il capitalismo sarebbe al capolinea (crisi di sovrapproduzione, disoccupazione, crisi agricola) e ruolo crescente di managers.

    Addirittura per J.Schumpeter il regime capitalista è destinato a scomparire, perché smantella la proprietà e la libertà di contratto per via della concentrazione economica, per cui nascerà un mondo socialista che funzionerà, perché, pur essendo meno efficace, offrirà maggiore stabilità.

    Riguardo ai fini intrinseci, per il liberalismo agrario la società si sviluppa secondo un ordine naturale voluto da Dio e l’interesse privato coincide con l’interesse generale. Il principio economico è: ‘laissez faire’.

    Per il liberalismo industriale la macchina sostituisce il lavoro (Visco e Draghi recentemente: né luddismo né protezionismo!).

    Per i liberali pessimisti, che non credono all’ordine spontaneo della Provvidenza, vige ugualmente il principio del ‘laissez faire’. Per Malthus il popolo addirittura è causa principale delle sue miserie; per Ricardo il salario deve essere calcolato al minimo indispensabile per la sussistenza dell’operaio e il valore dei beni deve essere dato dal loro costo di produzione.

    Per i liberali ottimisti, Say, parafrasando Leibniz, predica che tutta l’economia va nel migliore dei modi, perché dopo le crisi dovute all’innovazione tecnologica gli operai saranno riassunti; mentre per Mill la libera concorrenza eliminerà gli incapaci!

    Per la scuola classica estrema: gli operai devono essere  considerati vere e proprie macchine!

    Per i classici rivisti  protezionisti, List predica la legge dei 5 stadi di sviluppo economico, per cui il protezionismo si rende necessario almeno dal terzo al quarto stadio; mentre per Carey il protezionismo deve essere permanente come mezzo di libertà politica.

    Per i Socialisti della cattedra, lo Stato deve proteggere i lavoratori e le imprese assicurando il lavoro, sorvegliando gli scambi, le banche, le assicurazioni, etc.

    Per il Solidarismo, la solidarietà è quasi contrattuale, perchè l’uomo nasce debitore dell’associazione umana di cibo, di linguaggio, di istruzione, di  macchine, mentre i pubblici poteri devono correggere le ineguaglianze sociali con imposte progressive.

    Per il Socialismo utopico, a parte Saint-Simon che attribuisce compiti economici non allo Stato, ma ai produttori (commercianti e industriali) e agli intellettuali (scienziati e tecnici), Fourier e L.Blanc ritengono che la concorrenza è distruttrice, perché elimina i deboli e sfocia nel monopolio; inoltre porta i padroni a comprimere i salari e a sostituire i lavoratori con le macchine. Proudhon, da parte sua, sconfessa e socialismo e democrazia e Stato, che è uno strumento di sfruttamento, mentre la proprietà è un furto. Le banche devono dare credito gratuito per gli strumenti della produzione e il sistema deve essere federalista.

    Per il materialismo storico di Marx l’infrastruttura economica determina la sovrastruttura ideologico-culturale, con il valore del lavoro, determinato dalla sua quantità; con il plus-valore, di cui si appropria il capitalista; con la concentrazione dei mezzi di produzione, che determina sovrapproduzione, fallimento delle piccole imprese e creazione di trusts, per cui si rende necessaria la lotta di classe.

    Per il marxismo revisionista, Kautski ritiene che non è tradimento applicare i princìpi ad eventi che Marx non poteva prevedere e Bernstein rileva che le grandi imprese crescono, ma le piccole non diminuiscono e che la lotta di classe è un fenomeno più complesso: commercianti contro industriali; manovali contro specializzati; prestatori di denaro contro richiedenti, per cui il rimedio sarebbe miglioramenti con l’azione sindacale e politica.

    Per il Sindacalismo rivoluzionario, G.Sorel ritiene che non serve il  riformismo, perchè la democrazia perpetua i privilegi, i compromessi, le transazioni e fa l’apologia della violenza con entusiasmo quasi religioso.

    Per i Marginalisti, che reagiscono contro i classici, per i quali il prezzo dipende da domanda /offerta e il valore oggettivo dei beni dal loro costo di produzione, domanda e offerta reagiscono invece l’una sull’altra. E il valore è dato dall’utilità marginale che spiega prezzi, fattori di produzione, salari, interessi.

    Per il neocapitalismo, il sistema capitalistico è invecchiato e destinato a scomparire sia perché lo sviluppo non può continuare per ragioni demografiche, geografiche e tecniche, sia perché i princìpi del capitalismo (mercato-stato) sono superati; la concorrenza è falsata dalla concentrazione e lo Stato si è trasformato in capitalista, dominato dalla borghesia degli affari, cosicchè la libertà è puramente formale. Perciò il capitalismo sarebbe al capolinea (crisi di sovrapproduzione, disoccupazione, crisi agricola) e ruolo crescente di managers.

    Addirittura per J.Schumpeter il regime capitalista è destinato a scomparire, perché smantella la proprietà e la libertà di contratto per via della concentrazione economica, per cui nascerà un mondo socialista che funzionerà, perché, pur essendo meno efficace, offre maggiore stabilità.

    Per Keines, invece, mentre le altre scuole studiano i fattori produttivi o la distribuzione dei redditi, la società va considerata nel suo complesso: reddito globale, domanda globale, occupazione globale. Mentre i classici ragionavano come se la piena occupazione fosse sempre realizzabile, per Keines ciò non è vero, per cui l’eventualità di disoccupazione permanente deve essere presa in considerazione. Quindi la teoria di prezzi, salari, interessi deve essere riveduta in funzione di questa ipotesi più realistica. E mentre per i classici è l’offerta che crea la domanda, per Keines l’impulso viene dalla domanda (consumi-investimenti) che agiscono sull’occupazione e la domanda dipende da 3 fattori psicologici e dalla quantità di moneta. Le situazioni di sottoccupazione possono durare a lungo senza che nessun meccanismo spontaneo tenda a riassorbirle. Si dovrebbe imporre un intervento dello Stato più o meno permanente per assicurare il pieno impiego.

    In conclusione, il Liberalismo assoluto, declinato nella sua versione economica, ha dato luogo ai diktat di un’Europa senza scrupoli, tutta tesa a perseguire non il bene dei popoli, ma il bene della finanza, delle banche, del mercato senza regole. Così, dice Pio XI, “tutta l’economia è  divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele”. E’ necessario invece un liberismo solidaristico che, lasciando spazi di flessibilità per la contrattazione di mercato secondo meriti e competenze, ponga un tetto (per Platone ed Aristotele il rapporto era di 5 a 1), per l’impiego e la redistribuzione delle ricchezze ai fini di creare sviluppo e impiego, da una parte, e di sostenere la solidarietà, dall’altra, come del resto previsto dalla carta costituzionale.

    E premesso che 1)il sistema economico oggi è diverso dal sistema medievale: nel medioevo il sistema era di economia chiusa e la virtù di riferimento era la virtù di povertà, mentre oggi il sistema è di economia aperta e richiede la virtù di magnanimità per gli imprenditori e la virtù di magnificenza per i consumatori; 2) che la crescita non può essere illimitata per finitudine di bisogni e finitudine di risorse; 3) che il processo economico segue questo iter: lavoro> salari> risparmio> capitali> investimenti> domanda > crescita , è da osservare che:

    in primo luogo, il concetto di ‘crisi’ è un concetto non sostenibile, perché l’economia, essendo un ente, risponde alle leggi comuni dell’ente, per cui le crisi ricorrenti sono riferibili o a princìpi economici ‘erronei’ o ad erronea ‘applicazione’ di princìpi pur giusti; in secondo luogo, il lavoro non può essere considerato alla stregua degli altri fattori economici, perché della struttura economica esso forma come l’elemento formale rispetto agli altri elementi, che ne formano come l’oggetto materiale; in terzo luogo, le diverse scuole e teorie economiche sviluppano le loro tesi o dal punto di vista della quantità di lavoro o dal punto di vista della qualità o dal punto di vista della relazione o da altri punti di vista comunque parziali, mentre la scienza economica, essendo un ‘ente’, deve essere sviluppato secondo il punto di vista di tutte le categorie dell’essere per evitare le deformazioni di visioni parziali ad usum delphini; 4) infine, la storia delle dottrine economiche insegna che uno dei più importanti fattori di crescita economica è il 10% di investimenti in uno o pochi settori, che facciano da traino per lo sviluppo economico integrale, principio che vale sia per la politica economica nazionale sia per quella locale; tutto ciò premesso, e che dovrebbe formare come la welthanshauung del Movimento Francescano a livello nazionale, per il livello locale è sufficiente la disponibilità di credenti con forti basi di spiritualità per l’impegno in sede istituzionale, con l’apporto consultivo e formativo di soggetti politicamente già esperti e preparati.

    All’uopo, si dovrebbero organizzare: una scuola di formazione politica; una specie di governo-ombra e una serie di manifestazioni, dibattiti pubblici e quant’altro servirebbe allo scopo.

    I candidati alle cariche pubbliche dovranno pronunciare il seguente giuramento privato:

    “Mi impegno sul mio onore di cristiano, Dio testimone, a mantenere le seguenti promesse:
    -prometto che non userò l’arma del dileggio gratuito e dell’offesa contro gli avversari politici;

    -prometto che parlerò meno con le parole e più coi fatti e con gli atti di governo;

    -prometto che anteporrò il bene comune al bene personale o privato e che sceglierò il bene maggiore o il male minore”.

     

    Francesco Papaleo

    papaleokr@libero.it *

    *chi fosse interessato potrebbe contattarmi alla mia e-mail

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