L’opera poetica di “Luce Nera” scava e fa riemergere l’orrore del presente

Filippo Violi entra nel cuore pulsante e sanguinante dell’ultima creatura di Nicola Vacca (Marco Saya Edizioni 2015)

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    Che fine ha fatto quella parola “umanità” tanto decantata dai grandi poeti, dai filosofi e autori classici di letteratura antica e contemporanea? Fino a dove si sta spingendo questo mondo portando in dotazione un enorme carico di odio e di violenza? Ecco penso che, scovando tra le righe di “luce nera”, in quest’ultima opera di Nicola Vacca, in questi versi ribelli e dinamitardi, si possa trovare la risposta a questi interrogativi di domanda. E la risposta parte dal desiderio di rompere ogni limite, ogni margine, di spezzare ogni catena e ritrovarsi con le ossa rotte oltre ogni confine. Entrare nel cuore pulsante e sanguinante di “Luce nera”, significa affrontare fin da subito la potenza vibrante dei versi, significa guardare l’orrore del presente sfidandolo di petto, come ci suggerisce il Poeta nel passo poetico  de l’ “uomo in rivolta”.

    Affrontare i “tagli” (“le parole devono farsi tagli/altrimenti la carne nessuno la racconta”), gli squarci dei versi di “luce nera” è come voler dar conto agli istinti profondi di vita, è come dover per forza guardare ai sentimenti ammutoliti dalla brutalità dei tempi, in cui son costretti a vivere gli esseri. Nicola Vacca è il poeta dell’immanenza che trascende negli abissi dell’animo umano. Con questo suo ultimo libro di poesie, da vero poeta archeologo che va alla ricerca del perduto animo umano, opera un rigoroso scavo sotto i piedi, con l’intento di  provocare smottamenti in superficie. Il suo chiaro intento è quello di smuovere le coscienze irrigidite, fredde, impietrite, facendo mancare a tratti l’appoggio, a tratti il respiro.

    La potenza dei versi con cui “Luce nera” si presenta al lettore, è come una bomba a orologeria pronta ad esplodere in ogni angola di strada, come puro avvertimento, ha per così dire l’esigenza di smascherare l’inganno che si cela dietro l’ordine borghese costituito, e infrangerlo una volta per tutte facendo vedere in anticipo presagi futuri, ma anche paesaggi diversi. Così come diceva F. Nietzsche, uno dei suoi autori preferiti: Se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te”.

    L’opera poetica di Nicola Vacca mi piace pensarla come appartenente al circolo dei poeti maledetti e degli scrittori francesi del XIX secolo, dove spiccano le figure di Verlaine e Rimbaud (specie con la sua spietata “l’orgia parigina, ovvero Parigi si ripopola”: trincate! quando la luce arriva intensa e folle), ma prima di loro il genio sregolatezza e padre potativo Charles Baudileire, con la sua opera famosa “i fiori del male” (e il suo “l’inno alla bellezza”). Ecco Luce nera è un “inno alla bellezza” scavata, cercata e poi rilevata, per questo rappresenta la poesia maledetta del XXI secolo, maledetta diventa per i buon pensanti e il buoncostume, maledetta perché non fa vivere di sogni tranquilli i potenti..

    Questa è poesia che non cerca a tutti costi l’approvazione di un pubblico che vive di ottimismo gastrico tipico da bue, ma è rivolta a gente che ha ancora fame di vita e di vittoria. Una poesia che scava dentro l’animo del lettore per liberarlo da ogni catena e convinzione, indicando quella “luce nera”, quella luce ribelle, quella fiaccola dell’anarchica di gucciniana memoria, che s’intravede in fondo al tunnel e che indica la via da esplorare per rilevare nuovi sentieri dell’anima, per ora secretati e messi a tacere, tenuti volutamente nascosti da un potere democratico-borghese onnicomprensivo, onnipresente che rende l’aria che respiriamo sempre più asfittica e insalubre.

    Questa sensazione di appartenenza, nella sfera culturale e intellettuale di Nicola Vacca, era già maturata nell’opera “ Sguardi sul Novecento”; ma ora, non ci si può non sentire che molto vicini allo spirito ribelle che traspare dalla poesia di Nicola Vacca. Ed anche quando ci si impone un giudizio critico, tramite il poeta arriva pure il Nicola Vacca autentico interprete di quella tradizione socialista riformista che ai giorni d’oggi sarebbe rivoluzionaria. Proprio tramite la sua poesia, arriva, pure, l’esigenza e l’utilità di rileggere l’intervista di Craxi nel 1991, quando avvertiva il paese che il trattato di Maastricht sarebbe stata una gabbia per noi e un inferno per tutta l’Europa. Così come arriva pure a chi ha avuto altri maestri di riferimento culturale, che invece appartengono ad una tradizione storica che abbraccia il socialismo rivoluzionario di metà ottocento e primo novecento. Luce nera può rappresentare, per questo motivo, proprio l’incontro tra due pensieri laici differenti anche se appartenenti alla stessa radice.

    E’ anche per queste ragioni che questa è un opera importante per questo Paese che si sta impoverendo dal punto di vista non solo economico e produttivo ma anche culturale. Paradossalmente nell’epoca della digitalizzazione di massa, dove l’informazione e a portata di tutti, le nuove generazione non leggono, non chiedono, non si pongono alcun dubbio, non amano la riflessione sembrano sempre di più lobotomizzati. Non si può che ricordare appunto, in questo istante che scrivo, i ricami sferzanti dei versi della “Città dei dormienti”!

    Quindi accolgo con tutto il piacere possibile la nascita di Luce nera, un’opera armata che disarma di fronte ad essa, un’opera che squarcia la coscienza di massa impoverita e afflosciata sulla tradizione dei valori liberal borghesi. Un’opera che t’invita a seguirla nel proprio cammino, consigliandoti di andare avanti, sempre “alzando la testa”, come un “uomo in rivolta”,  per combattere insieme in prima  linea.

                                                                                                     Filippo Violi

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