Ecco come Giunte hanno portato i Folk Festival a divenire armi di distrazione di massa

Giovanna Senatore intervista ANGELO MAGGIO

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    Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questa bellissima intervista:

    “Infuria la polemica in questi giorni dopo la pubblicazione delle graduatorie relative all’avviso pubblico della Regione Calabria sulle iniziative culturali 2016. Fa indignare i tanti organizzatori di eventi, tra questi molti enti pubblici, per la decisione di ampliare la platea degli ammessi abbassando il tetto minimo del punteggio di ammissione, ma spiazza soprattutto perché sovvertendo le regole in corso d’opera, riduce il contributo per tutti i beneficiari mettendoli in evidente difficoltà. Si ripetono ogni anno in Calabria certe dinamiche, ma questa volta in fatto si distribuzione clientelare pare si siano superati. In Regione sentono forte il bisogno di fare cultura, ma non sentono la necessità di nominare neppure un’assessore demandando non si sa bene a chi. Di certe dinamiche Risveglio Ideale ne ha voluto parlare con Angelo Maggio, etnofotografo catanzarese che in passato si è occupato dell’organizzazione di folk festival e dunque certe dinamiche le conosce bene. La sua appartiene a quelle figure direi stoiche che in Calabria spesso risultano spigolose, perché nella conoscenza delle cose non lascia nulla al caso e i suoi interventi risultano scomodi perché toccano i nervi scoperti di un mondo, quello della Cultura in Calabria, che spesso è concepita nella sua dimensione solo utilitaristica. E così bisogna leggerlo tra le righe per comprenderla la sua amara ironia soprattutto quando parla della necessità di rimanere integri in una terra come la nostra in cui diviene sempre più difficile difendere i propri valori etici. Quanto sia coerente si capisce osservando il suo percorso di ricerca che inizia come fotografo etnografico che lo porta a fondare insieme ad altri soci l’A.R.P.A un’associazione che si occupa di ricerca in ambito folklorico e a proseguire con ulteriori indagini etnografiche in Sicilia. Importante l’esperienza d’insegnamento del corso di tecniche di ripresa presso il Conservatorio padovano Cesare Pollini e il percorso successivo che lo conduce a interessarsi di fotografia di scena seguendo il Festival Primavera dei Teatri organizzato dalla Compagnia Scena Verticale. Attualmente sta lavorando a un importante progetto etico di documentazione fotografica dei fabbricati non finiti in Calabria perché ritiene fondamentale continuare a chiedersi come sia possibile l’assuefazione a un mondo fatto di aspettative deluse e in questo percorso anche la sua diventa un’attesa, però di speranza, quella di assistere a un definitivo risveglio etico delle coscienze.

    Sei stato certamente un pioniere tra quanti hanno tentato di valorizzare il mondo delle tradizioni popolari calabresi, ma il tuo entusiasmo organizzativo ha poi ceduto il passo a una sorta di delusione e hai deciso di lasciare quel mondo. Ci spieghi perché?

    Pioniere mi sembra esagerato. Io non avevo alcuna esperienza nell’organizzazione di eventi ma facevo parte di una associazione che si occupava di ricerca nel campo delle tradizioni popolari. Da qualche anno andavo in giro a scattar foto alle feste tradizionali e quindi sono stato trascinato in questo mondo. Il mio allontanamento è scaturito dal fatto che nel 2008 si è sancito a mio parere un principio. I folk festival da eventi rivolti promuovere il patrimonio culturale immateriale delle classi subalterne erano diventati “armi di distrazione di massa” utilizzati da una certa classe politica che intuisce quanto le tarantelle potevano essere un business. Già nel 2004 un consigliere comunale di Caulonia tentò di imporre alcune linee guida a noi dell’organizzazione, ma Il nostro secco rifiuto e la vittoria alle successive elezioni dell’avv. Pier Francesco Campisi congelò le sue speranze. Nuove elezioni ribaltarono ancora la situazione, ma fu nel 2008 che il festival venne letteralmente cooptato. Con la delibera 270 del 29 luglio 2008 la giunta manda letteralmente a casa la mia associazione “al fine di consentire a questo ente di poter organizzare direttamente e secondo le direttive indicate dal Consiglio Comunale, la manifestazione in oggetto, ritenuta patrimonio non solo di tutta la cittadinanza di Caulonia ma anche di quella dell’intera locride”. In pratica un evento era divenuto “patrimonio” e quindi doveva essere gestito dalla politica. La cosa mi sembrò l’inizio della parabola per cui abbandonai i folk festival e la mia associazione, ma rimane una vicenda complessa che ha avuto un seguito e che ho spiegato diffusamente su un articolo apparso su napolimonitor.it/calabria-la-parabola-dei-folk-festival

     

    E immagino che all’improvviso tu sia diventato un personaggio scomodo perché è risaputo che la critica costruttiva non è poi così agevolmente accettata. Quanto è difficile rimanere in silenzio quando certi meccanismi organizzativi li conosci bene e ne noti subito le irregolarità?

    Scomodo? Assolutamente no sono semplicemente ignorato quindi innocuo. Puoi anche parlare ma tanto sei ignorato. Ho anche ben descritto lo stato delle cose agli operatori portando articoli e delibere ma è stato tutto inutile.

    Ogni anno intorno alla questione dei finanziamenti per le iniziative culturali infuria la bufera, ma questa volta il vento delle irregolarità pare abbia soffiato più forte e il rientro del Caulonia Festival è stata decisamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Credi ci sia stato un ingenuo errore di metodo in questa distribuzione cosiddetta a pioggia?

    Parafrasando Pennac penso che “un capro espiatorio vale quanto una soluzione”. Il caso Caulonia è diventato un ottimo buco nero, consentendo di spostare le attenzione dai temi reali. Concentra su di se tutti i commenti, così da non consentire di vedere tutto il resto. Da giorni (vedo articoli che risalgono al 21 luglio) si parla di un intervento dell’assessora Roccisano. Solo il 5 agosto i giornalisti “impegnati” se ne sono accorti. Anche lo scorso anno il festival era stato “salvato” grazie ad un finanziamento della Regione Calabria ed uno della Provincia di Reggio Calabria, nel 2011 era addirittura uscito un bando che calzava a pennello al festival (anche il quel caso scrissi un paio di articoli su larivieraonline). Nel 2012 dopo l’ennesima bocciatura gli intellettuali calabresi firmarono anche un appello per salvare il festival visto che ancora una volta non era stato inserito tra i grandi eventi. Nulla di nuovo quindi, il problema dell’allargamento della graduatoria per me non è Caulonia ma il fatto di ritenere che una graduatoria pubblicata il 4 agosto possa essere utile ad aumentare i flussi turistici. Direi viceversa che tale allargamento non fa altro che danneggiare gli eventi già realizzati o che sono in corso di svolgimento.

     

    Si vocifera che anche quest’anno arriverà puntuale l’azione di salvataggio, in che maniera questa volta?

    La legge 13/85 ha maglie larghe. Lo scorso anno è stato tirato in ballo l’art. 65, vedremo cosa toglieranno dal cilindro quest’anno. Nel 2017 a Caulonia si vota, non dimentichiamolo.

    La parola “cultura” negli ultimi giorni in Calabria è certamente tra le più abusate. Tutti ne parlano, nessuno sa spiegarcene il significato, forse in pochi la fanno veramente. Pensi che la politica della distribuzione lineare dei contributi, possa favorire una progettualità culturale capace di generare reali e durature ricadute sul turismo?

    Non credo che il turismo possa salvare la Calabria (già nel 2012 con un mio articolo, su CALABRIA ORA avevo parlato di “ansia da prestazione turistica”) ma la cultura potrebbe salvare i calabresi. Solo che la maggior parte degli eventi organizzati sul territorio continua ad inseguire un modello culturale che ricalca il significato che ne dava Ando Gilardi in Meglio ladro che fotografo per cui “la cultura è ciò che fa nascere il bisogno del consumo dei suoi prodotti”. Anni di folk revival hanno contribuito ad elaborare negativamente un modello di musica tradizionale che è esattamente come un panino comprato in un fast food, uguale ovunque, a basso costo, e ad elevato impatto ambientale. La qualità? Non classificata

    Quando parli di Acultura a cosa ti riferisci esattamente e, soprattutto, pensi che in Calabria aldilà del presenzialismo nei vari festival letterari, sia vagamente attiva la figura dell’intellettuale militante?

    Basta un apostrofo e la cultura diventa l’acultura e la tarantella diventa l’atarantella. Non vedo intellettuali in Calabria impegnati e non considero un impegno quello di firmare appelli per salvare folk festival e squadre di calcio a cinque femminili . Sarà perché non frequento premi letterari e festival nei quali i dibattiti hanno la stessa funzione sul territorio della morfina su di un malato di cancro

    Mi ricordi una figura a metà strada tra “l’apologeta anticonformista e l’apocalittico sdegnato, moralmente coinvolto, ma capace anche di dire no”. In terra di Calabria, si fa molta fatica a rimanere integri rispetto ai valori in cui si crede?

    Ma io sono integro semplicemente perché nessuno ha mai provato a corrompermi. Se domani vedrai un mio libro sul non finito con i loghi della Regione Calabria non sorprenderti (e qui, l’ironia, purtroppo amara prende il soppravvento e la necessità di leggerlo tra le righe diventa ancor più necessaria)

    Sei stato definito il teorico del non finito calabrese perché hai fotografato nella maniera più poetica ed espressiva possibile la realtà diffusa dei fabbricati mai completati in Calabria definendoli monumenti alle aspettative tradite dei calabresi. L’occhio dell’etnofotografo che connessione riesce a cogliere tra l’evidente abuso del termine cultura e questo senso d’incompiutezza che ci caratterizza?

    Il mio modo di fotografare il non finito ha delle precise peculiarità, ho mostrato dei fabbricati mai ultimati che fanno da sfondo alle statue religiose portate in processione e ai manifesti elettorali dei politici. Volevo soprattutto farli assurgere a condizione rappresentativa, direi monumentale delle promesse di sviluppo mai mantenute dalla classe politica. Era mia precisa intenzione evidenziarne soprattutto la dimensione etica, perché il non finito non è il classico problema di abusivismo, ma la precisa rappresentazione delle illusioni di cui sono stati nutriti i calabresi. Allo stesso modo, la cultura genererà non finiti immateriali a breve. Il fatto che non vengano usati ferro e cemento non causerà certamente danni minori.

    Ci salutiamo con una promessa, la prossima volta parleremo con gli addetti ai lavori, di come si fa teatro di qualità in Calabria rimanendo in trincea. Ce ne fossero di persone spigolose come lui nella terra che aspetta ancora il ritorno di Pitagora.

    Non sempre una domanda chiede una risposta. Spesso chiede di essere dispiegata” M. Heidegger

     

    Intervista a cura di Giovanna SENATORE

    (Componente RISVEGLIO IDEALE)

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