Megafrane sottomarine, terremoti ed estrazioni: Crotone in pericolo?

L’intervista con il Geologo Antonio Giulio Cosentino per capirci qualcosa

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    E’ bastata una scossa a largo di Isola di Capo Rizzuto avvertita più a nord e a sud che nell’epicentro per rispolverare un articolo vecchio di un anno (clicca qui per rileggerlo)  che riprendeva una ancora meno recente ricerca (clicca qui per la fonte) che ci aveva disvelato una mega-frana silenziosa che si estende per circa 1000 km quadrati di superficie  nel Promontorio compreso tra Crotone e Capo Rizzuto, proprio in quella nostra Area Marina Protetta che viene definita da altri come una delle più suggestive del mar Jonio, troppo spesso, da noi, abbandonata a se stessa. C’è chi vi ha aggiunto l’attività estrattiva del mostro a sei zampe ed il miscelatore della nostra capacità di approfondimento ha lasciato social vari ed internauti vagare nelle più svariate ipotesi. Ci siamo immediatamente rammentati che in quel di Milano abita il Geologo/Poeta Antonio Giulio Cosentino, crotonese da sempre appassionato alle possibilità cognitive dell’uomo e delle sue spregevoli caparbietà nello scovare se stesso in mezzo agli altri ed alla natura maltrattata come una matrigna. Fughiamo subito ogni formalità visto che il destino, barbaro non si sa per chi, vuole che ci si conosca da quasi un quarantennio, e gli chiediamo: “riesci a farci comprendere che tipo di movimenti provoca una megafrana sottomarina di mille chilometri quadrati evitando termini come instabilità gravitativa e bacino evaporitico?”

    Antonio Giulio Cosentino: al fine di non soffrire di quella forma di “amnesia” che Sorokin (1965) definisce “complesso dei novelli Cristoforo Colombo” (approfondisci qui Sorokin), la “scoperta” (di Liliana Minelli, Andrea Billi, Claudio Faccenna, Anna Gervasi, Ignazio Guerra, Barbara Orecchio e Giulio Speranza), sicuramente molto interessante da un punto di vista scientifico, pare avvalorare le ipotesi già avanzate dal Prof. A. Guerricchio dell’Università della Calabria. Negli “Atti del Convegno – Problemi geoambientali nella costa fra Capo Colonna e Isola di Capo Rizzuto (28-04-2001) redatti dall’Area Marina Protetta di Capo Rizzuto”, lo studioso, sulla base di ricerche di archeologia subacquea, sostiene infatti che l’area del crotonese risulta interessata da grandi frane (dovrei usare il termine DGPV – Deformazioni Gravitative Profonde di Versante) agevolate anche dall’azione di richiamo dello “scivolo” o se si vuole della “scalinata” che conduce nelle profondità del mar Jonio (dovrei dire nel bacino abissale ionico o ancora nell’avanfossa ionica – e cioè nella zona compresa tra il fronte esterno dell’arco calabro e l’avampaese – vale a dire il settore non deformato dalla collisione tra le placche).

    In pratica è come se si assistesse ad un “lento scorrimento” (creep) del territorio crotonese verso il mare Jonio. Capisco che messa in questi termini la questione possa non apparire molto incoraggiante, ma ci si consoli pensando che l’espressione “tempi geologici”, sottointesa nell’aggettivo “lento”, fa riferimento ad una dimensione temporale molto più estesa rispetto a quella normalmente intesa a scala umana. Mi piace ricordare, sovente, che rapportando la storia della terra (dalla sua nascita ad oggi) ad una giornata di 24 ore (1 ora verrebbe a corrispondere a circa 187 milioni di anni) l’uomo si affaccerebbe sulla terra solo 38 secondi circa prima della mezzanotte di questa ipotetica giornata. Insomma il cosiddetto homo sapiens rappresenta un singolo punto appartenente alla retta infinita del tempo.  E’ in questa ottica che bisogna relazionarsi con la storia del nostro pianeta, e ancor di più con quella dell’universo.

    Solo tu potevi tirare fuori Sorokin parlando di fosse tettoniche, ma quanto sono frequenti questi fenomeni, e soprattutto che attinenza possibile c’è con l’attività estrattiva?

    A.G.C. In passato potrebbero aver portato alla scomparsa di alcune antiche isole (Tyris, Eranusa e Meloessa) di fronte a Crotone, di cui parla Omero, presenti in alcune antiche cartografie. Lo stesso Guerricchio riporta a riguardo quanto riferito da uno dei “viaggiatori in Calabria”, il quale scrisse testualmente: “…sbarcavo in un isoletta di fronte a Crotone”, oggi non più esistente, che “…appariva certamente un po’ più piccola per essere stata l’isola della maga Circe”. Personalmente condivido l’idea di Guerricchio quando afferma che: “tali risultati danno conto dell’importanza di queste ricerche in una parte della costa calabrese che mostra segni di subsidenza naturale del tutto analoghi a quelli riscontrabili in altre aree della Calabria ionica a nord e a Sud del Bacino Crotonese, che però, a parere dell’opinione pubblica e purtroppo anche di alcuni studiosi e tecnici, è innescata esclusivamente dall’estrazione di gas, seppure da giacimenti a grande profondità, molto al di sotto dei fondali marini”. Mi sembra alquanto inverosimile che a quei tempi fosse già “colpa” della subsidenza indotta da estrazione di metano.

    No pure Omero, ma allora lo fai apposta! Poi ti schermisci quando voglio ricordare che sei anche un poeta. Ma dicci con i terremoti come siamo messi, e soprattutto che pericoli corriamo ora?

    Puntualmente quando arriva un terremoto entrano in scena gli “esperti” (ed in questo caso dovrei essere io, sob!) che cercano di spiegare per il tramite del “palcoscenico giornalistico”. Per non risultare eccessivamente ripetitivo inizierei da qui: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”… Probabilmente Leopardi descriverebbe così la “deriva” delle porzioni solide dei continenti (zolle litosferiche) che galleggiano sul sottostante “mare viscoso” del mantello (astenosfera). La sismicità sulla Terra è pertanto l’espressione di questi movimenti relativi tra le placche litosferiche. E l’Italia meridionale è il risultato di un’immensa collisione tra due delle maggiori placche litosferiche del nostro pianeta, quella Euroasiatica e quella Africana che si avvicinano ad una velocità di circa 7 mm/anno. Un contatto tra le zolle che avviene in corrispondenza di una lunghissima spaccatura (faglia) della crosta terrestre: la faglia Gloria. In realtà si tratta di una “deriva” non proprio “dolce” visto che le zolle, interagendo lungo i reciproci limiti, hanno dato luogo alla formazione delle nostre catene montuose (prima le Alpi e poi gli Appennini).

    Boschi e Bordieri, nel libro i “Terremoti d’Italia”, lo definiscono un vero e proprio “rompicapo geofisico” in grado di attirare l’attenzione dei ricercatori di tutto il mondo. In più c’è l’Arco Calabro quel “frammento crostale di provenienza europea – alpina – imparentato geologicamente con la Sardegna e la Corsica che per arrivare dov’è ha fatto un lungo viaggio”. Un’”esotica” porzione dell’Italia definita “l’arco misterioso uno dei più complessi fenomeni della geologia e della geofisica mondiali” della quale non sono ancora del tutto svelati i suoi misteri.

    Le attuali conoscenze suggeriscono che i processi su cui si fondano i terremoti sono di tipo caotico (non casuale) e pertanto caratterizzati da un intreccio di cause-effetti in base al quale piccole variazioni locali possono comportare cambiamenti decisivi. Ragion per cui, i terremoti, risultano al momento imprevedibili sia con approcci di tipo meccanicistico (la natura vista come macchina in cui il tutto che è funzione delle parti che lo costituiscono) che di tipo organicistico (la natura intesa come viva in cui il tutto è maggiore della somma delle parti prese isolatamente). Se fosse altrimenti non avremmo notizia dei “recenti” terremoti che stanno invece ingenerando una grossa risonanza mediatica.

    Sebbene risulti impossibile prevederli (conoscere esattamente il quando ed il dove avverrà la scossa) l’INGV ha tuttavia mappato le aree del territorio italiano a diversa probabilità di accadimento dei terremoti indicandone, per quasi tutte, il livello di scuotimento (in termini di frazione dell’accelerazione di gravità) e la magnitudo attesa in modo tale da sollecitare la collettività a giocare d’anticipo l’”incontro col terremoto”.

    Da queste cartografie emerge che le zone-sorgente della Calabria fino allo stretto di Messina sono due, una sul lato tirrenico della regione (zona 929) ed una su quello ionico (zona 930), nelle quali si è stimato possano verificarsi terremoti con magnitudo (momento) massime rispettivamente di 7,29 e 6,6. Si tratta di stime probabilistiche che non forniscono tuttavia alcuna collocazione temporale dei terremoti di riferimento.

    Nonostante l’Italia “vanti” un certo ritardo (si pensi ad esempio alla catastrofe dell’Irpinia o all’introduzione forzata – post l’Aquila – della più recente normativa sismica vigente – DM 14-01-2008) rispetto a comunità scientifiche più “avanzate” (a parere dello scrivente per il semplice fatto che operano in un contesto caratterizzato da maggiore sismicità), giapponese e americana ad esempio, si sta fortunatamente concludendo (per non dire che si è conclusa) l’epoca d’impostazione fatalistica secondo la quale, poiché il terremoto rientra nell’ordine naturale delle cose, eventuali danni indotti dallo stesso siano riconducibile alla caducità di cui sono intessute le “cose umane” e quindi all’apparire necessario del destino (ovvero sia al fatto che tutto ciò che accade è destinato ad accadere).

    Oggi le tecno-scienze forniscono strumenti atti a perseguire l’unica forma di protezione dai terremoti: la progettazione antisismica. Laddove invece il costruito fa da padrone non resta che intervenire con l’adeguamento antisismico sebbene l’argomento abbia dei risvolti socio-economici decisamente più rilevanti e di non facile risoluzione.

    Accanto alla progettazione antisismica è necessario sviluppare la “cultura del terremoto” in quanto fenomeno naturale e, come tale, intimamente legato alla nostra collettività. Per raggiungere un simile risultato sarà fondamentale prevedere un massiccio intervento di divulgazione tecnico-scientifica che abbassi la soglia di percezione del rischio sismico (esercitazioni scolastiche sul comportamento da tenere nel caso di terremoto, miglioramento dei piani di emergenza e delle tecniche di evacuazione, predisposizione di strumenti urbanistici adeguati e aggiornati). Il tutto dovrà essere ovviamente accompagnato da una revisione continua nel tempo delle normative sismiche in funzione dei più recenti ritrovati scientifici. In merito a quest’ultimo aspetto risulterà particolarmente importante l’interfacciarsi, attualmente molto spesso critico, tra il mondo universitario e quello professionale.

    In caso contrario si finirebbe, come accaduto sino a oggi, a guardare, seduti davanti al televisore, sulle varie emittenti televisive le tragedie che non si sa come mai accadono accusando in questo modo la nostra intelligenza, per non dire coscienza, incapace di rendere quanto più possibile armonico il rapporto tra l’uomo e la natura. E’ questa nuova sfida che dobbiamo affrontare attraverso il raggiungimento di una coscienza di grado superiore, attraverso il passaggio dall’uomo quale essere che sa all’uomo quale essere che sa di sapere e come tale è capace di scegliere (homo eligens) e di tessere intorno alla terra una membrana continua di pensiero, quella Noosfera di cui parla (1956) Pierre Teilhard de Chardin nel suo testo “Le singolarità della specie umana”.

     

    Attualmente dobbiamo preoccuparci?

     

    Tenendo sempre e bene in mente quanto premesso ritengo sia di grande interesse l’approccio seguito dal Prof. Enzo Mantovani che tiene conto del “dialogo a distanza tra sorgenti sismiche” (Mantovani et. Al., 2012, 2013) vale a dire dell’influenza che la sismicità di un’area possa esercitare su di un’altra tettonicamente connessa alla precedente. La “buona” notizia è che tale approccio sembrerebbe essere valido per l’Appennino meridionale (legame Montenegro-Irpinia) e per la Calabria (legame settore ellenico-Calabria).

    Lo studioso, in nome di questo approccio, auspica quindi un minore “spreco” di “tempo e risorse” rivolto ai tentativi statistici di effettuare previsioni “basate sul concetto che i terremoti sono eventuali casuali e indipendenti e che la sismicità futura avrà le stesse caratteristiche di quella insignificante parte della storia sismica che conosciamo”.

    Detto ciò per rispondere finalmente alla domanda postami riporto quanto lo studioso ha dichiarato di recente (13 febbraio 2014): “…. adesso una forte scossa è più probabile al Nord” il quale, ha affermato “che al momento attuale la pericolosità in Calabria sia relativamente bassa”. In altre parole le “passate interconnessioni tettoniche” tra forti terremoti della Calabria e antistante settore ellenico sembrerebbero suggerire che quasi tutte le scosse avvenute in Calabria con M > 6 sono state precedute da attività sismica, nel settore ellenico, caratterizzata da una o più scosse con M > 6.5. Al momento i terremoti avvenuti nella zona ellenica con magnitudo comprese tra 5.5-6.3 (gennaio-febbraio 2014) non pare posseggano l’energia sufficiente a creare risentimenti “eccezionali” sino in Calabria.

    Grazie al Geologo e pure al poeta, non avevamo alcun dubbio che ne sarebbe uscita una porzione di esegesi dell’animo umano, di quella propensione a non voler distinguere il vero dall’affascinante che sta mettendo l’homo cretinens di oggi al centro dell’universo da spolpare! Il dottor Antonio Giulio Cosentino ci ha permesso, con una sana dose di ironia (ingrediente fondamentale), di osservare questi fenomeni con distacco e competenza e soprattutto ci ha permesso di comprendere… …e se abbiamo capito noi, possono veramente tutti!

    Procolo Guida

     

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