Morte di Borrelli, scrive il Prof. Pesavento

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani, in occasione della morte del magistrato Francesco Saverio Borrelli, intende esprimere qualche riflessione su una figura così importante della giustizia italiana

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    Durante gli anni Novanta, fu a capo del pool di Mani Pulite, realizzando una serie di inchieste, il cui esito fu la fine della prima Repubblica. 

    Coscienza civile, coraggio nell’affermazione della legalità, spirito di sacrificio, valori morali ed etici, caratteristiche assai spiccate del dott. Borrelli, sono state doti fondamentali per il perseguimento e l’accertamento della verità rispetto ai molteplici illeciti che avevano caratterizzato la condotta spregiudicata e corrotta di diversi esponenti politici e imprenditori.

    Certamente la scuola non può ignorare il messaggio sociale che la figura di Borrelli ha portato nel suo agire da magistrato e da uomo. Messaggio che consiste in un concetto molto semplice: la legalità ha una sua funzione nel momento in cui si esplicita in conoscenze dei principi che regolano la convivenza tra aggregazioni di persone sempre più estese, complesse e interconnesse e comporta anche l’interiorizzazione di regole condivise, che non costituiscono un’imposizione, ma il cuore pulsante di una società garante della libertà e dignità del singolo individuo.

    Oggi non si può che omaggiare chi ha speso l’intera esistenza per difendere i principi in cui credeva.   

    «L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività» (R. Livatino).    

     

    Prof. Romano Pesavento

    Presidente Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani

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