Alhasaeri Wael Ghali non sarà processato per tortura

Il libico, arrestato pochi giorni fa, dovrà essere processato nel suo paese

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Riceviamo e Pubblichiamo:

La notizia diffusa a mezzo stampa secondo cui il GIP del Tribunale di Crotone abbia deciso in ordine al difetto di giurisdizione per il reato di tortura contestato ad un cittadino libico fermato pochi giorni fa su disposizione della DDA di Catanzaro ci lascia perplessi e preoccupati.

Il cittadino libico, ad oggi in regime custodiale in carcere con l’accusa di associazione per delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, era stato riconosciuto da un cittadino somalo presso il CARA di Sant’Anna quale uno dei carcerieri che lo hanno torturato presso un campo di prigionia dove era detenuto in Libia, prima di riuscire a fuggire ed arrivare in Italia nel gennaio di quest’anno.

Le indagini, avviate grazie al coraggio del cittadino somalo di denunciare il suo aguzzino, avevano fatto scattare il provvedimento di fermo anche per il reato di tortura, imputazione caduta in sede di convalida del fermo perché, a parere del GIP, la competenza per detta fattispecie spetti alla Libia quale locus commissi delicti.

Una decisione, questa, che rifiuta di fatto l’applicazione di un principio di diritto internazionale penale, codificato in sede pattizia, che riconosce il principio di giurisdizione universale, ossia la capacità degli Stati e delle organizzazioni internazionali di rivendicare la giurisdizione penale su una persona accusata, indipendentemente da dove il presunto crimine sia stato commesso, indipendentemente dalla nazionalità dell’imputato, dal Paese di residenza o da qualsiasi altra relazione con l’ente che procede.

Ciò perché i crimini perseguiti sotto la giurisdizione universale sono considerati crimini contro tutti, troppo gravi per tollerare l’arbitrato giurisdizionale.

Il concetto di giurisdizione universale riconosce l’efficacia erga omnes di alcune norme internazionali, dovute, dunque, all’intera comunità mondiale e mira ad evitare che crimini che offendono il genere umano nel suo insieme restino impuniti per mancanza di volontà o di capacità dello stato avente giurisdizione di esercitare l’azione penale o per impossibilità di adire la Corte Penale Internazionale per difetto di giurisdizione.

Il reato di tortura rientra tra i crimini per i quali sussiste la giurisdizione universale, ovvero tra quelle gravi violazioni al diritto internazionale umanitario previste anche dall’art. 85 del protocollo addizionale alle 4 convenzioni di Ginevra ( Adottato a Ginevra l’8 giugno 1977 e ratificato dall’Italia con legge n. 762 dell’11 dicembre 1985 ), che in forza dell’art. 7 della Convenzione contro la Tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti ( Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 – autorizzazione alla ratifica ed ordine di esecuzione in Italia dati con legge n. 489 del 3 novembre 1988 ), diviene un principio di diritto internazionale generale.

La stessa Corte internazionale di giustizia con la sentenza del 20 giugno 2012 nel caso Belgio c. Senegal ha ribadito l’efficacia  erga omnes del delitto di tortura, cristallizzando quel principio di giurisdizione universale vigente in forza del paragrafo 1 dell’art. 7 della Convezione ONU sulla tortura.

Appare evidente che la pronuncia del GIP di Crotone, ponendosi in contrasto con la normativa internazionale, pone l’Italia in condizione di essere giudicata responsabile della violazione dell’obbligo di sottoporre il caso alle autorità giudiziarie, posto che, per come chiarito dalla stessa CIG, il principio “aut dedere aut iudicare” trova quale limite oggettivo all’estradizione la possibilità che il crimine resti impunito nel Paese ove sussiste la giurisdizione nazionale.

Ed ovvio, perché gli stessi rapporti ONU lo hanno ribadito più volte, che il governo di unità nazionale libica guidato da Al Sarraj non è nelle condizioni di giudicare i crimini commessi nei campi di detenzione governativi e non, laddove è emerso che anche i campi non gestiti direttamente da funzionari governativi, godono del placet dell’autorità libica.

Ed allora, dovendo riconoscere sussistenti i requisiti di collegamento per l’esercizio dell’azione penale in forza della giurisdizione universale per il crimine di tortura, che per la sua gravità valica i tre criteri penalistici  della territorialità, della persona attiva e della persona passiva,  e può fondarsi anche nel solo fatto che l’indagato si sia venuto a trovare – anche occasionalmente – sul territorio dello Stato ove il processo è iniziato, auspichiamo un intervento endoprocedurale della Procura distrettuale di Catanzaro per garantire la celebrazione del processo anche per il reato di tortura a carico di Alhasaeri Wael Ghali Maosud, riportando così Crotone in Italia, dove da Milano a Palermo, passando per Agrigento, i carcerieri libici rei di torturare i migranti reclusi nei campi di detenzione in Libia, vengono processati per quei crimini.

 

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