“Evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi” nell’ordinanza regionale cassata dal Tar

I giudici amministrativi non regge l'analisi sull'incidenza del Covid-19 in Calabria avanzata dalla presidente Santelli

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    Da un lato il Governo appoggiato dal Comune di Reggio Calabria, dall’altro la Regione Calabria insieme ai comuni di Amendolara e Tropea (inammissibili le posizioni del Codacons ed alcuni operatori del settore della ristorazione).

    In mezzo a decidere il Tar della Calabria nel consiglio formato da Giancarlo Pennetti, Francesco Tallaro e Francesca Goggiamani, che intorno alle 14 hanno emesso sentenza contro l’ordinanza regionale che autorizzava il servizio per bar ed attività di ristorazione all’aperto autorizzati sul finire di aprile da parte della Regione in anticipo alle possibili misure attuate a livello nazionale.

    Tra i primi spunti della sentenza vi è risposta alla Regione sull’ipotesi di mancata competenza da parte del Tar della Calabria, con invece proposto campo di giudizio quello della corte costituzionale.

    Per i giudici amministrativi «il ricorso con il quale è stato innescato il sindacato giurisdizionale da parte di questo Tribunale Amministrativo Regionale fa valere la dedotta violazione, da parte del Presidente della Regione Calabria, dei limiti che dalla legge, e in particolare dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, derivano all’esercizio delle competenze in materia di igiene e sanità spettanti al Presidente della Regione Calabria.

    In questa prospettiva, l’atto è giustiziabile d’innanzi al giudice della funzione pubblica, giacché questo giudice non è chiamato a regolare il conflitto sulle attribuzioni costituzionali tra gli Enti coinvolti nella controversia, ma solo a valutare la legittimità, secondo i parametri legislativi indicati nei motivi di ricorso, dell’atto impugnato».

    Nel merito della discussione la sentenza ribadisce che «spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19, mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie è indiscusso che non risultino integrati.

    Né l’ordinanza di cui si discute potrebbe trovare un fondamento nell’art. 32 l. n. 833 del 1978. Infatti, come correttamente messo in evidenza dall’Avvocatura dello Stato, i limiti al potere di ordinanza del Presidente della Regione delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 valgono, ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente».

    Si contesta poi come «l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla sospensione dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione al servizio al tavolo, con il mero riferimento del rilevato valore di replicazione del virus COVID-19, che sarebbe stato misurato in un livello tale da indicare una regressione dell’epidemia.

    È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni alla circolazione extraregionale). Non a caso, le restrizioni dovute alla necessità di contenere l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di volta in volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle variazioni nella misura delle interazioni sociali».

    Per i giudici amministrativi «un tale modus operandi appare senza dubbio coerente con il principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto, dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica. Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655), deve necessariamente presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione (Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 5). È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non sussiste».

    L’ultima reprimenda arriva sul mancato confronto tra le istituzioni: «non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo.

    Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione».

    Per l’apertura del servizio al tavolo, dopo quelle di asporto e a domicilio, le attività di ristorazione e bar dovranno aspettare le decisioni nazionali attese nel prossimo decreto del premier Conte nel corso della prossima settimana.

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