Il 4 novembre 1918 vittoria o sconfitta?
Dopo celebrazioni più o meno sentite, ci piace recuperare e porgervi le considerazioni di Rolando Belvedere
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riceviamo e pubblichiamo:
La festa del 4 novembre del 1918 è di quelle che non si possono dimenticare, come monito per un futuro di pace peraltro disatteso qualche mese dopo con la nascita del fascismo attore 25 anni, dopo della seconda guerra mondiale. Se ieri la guerra era la prosecuzione della politica , oggi la forza di un Paese si misura con la salute della propria economia . Non conta avere missili e bombe atomiche ma idee e brevetti. Non a caso lo spionaggio industriale e molto più importante di quello militare. Le nazioni si dominano acquistando le loro aziende strategiche e influenzando la loro economia. Cent’anni fa contavano solo i cannoni. Quando il generale Armando Diaz comunicò il 4 novembre 1918, il famoso bollettino della vittoria degli eserciti della Triplice Intesa di cui faceva parte l’Italia, su quelli dell’impero austro-ungarico, centinaia di migliaia di famiglie italiane piangevano i loro congiunti morti o mutilati. Le cifre sono di quelle che fanno pensare. I morti sono 620 mila ai quali vanno aggiunti 1 milione 200 mila di feriti e mutilati. E 5 milioni di civili. Il populismo e il nazionalismo furono una delle cause della guerra, che si intrecciarono con altre meno nobili. Cioè i conflitti d’interesse tra l’asse politica franco-inglese e quella austriaca per la divisione delle aree d’influenza economiche, la conquista dei mercati internazionali e in definitiva l’egemonia mondiale, che provocarono lo scoppio della prima guerra mondiale. Le esigenze della politica di potenza degli stati, si allearono con i “sacri egoismi “nazionali che propagandarono il mito della “guerra giusta”. Iniziò una corsa agli armamenti incompresa nelle reali motivazioni dalla maggioranza della popolazione : dal contadino all’impiegato del ministero. Sicuramente non è stata una guerra di liberazione ma una guerra per preparare le basi a una forsennata colonizzazione soprattutto in Africa. Lo scontro armato aveva bisogno di un pretesto per innescare una reazione a catena. Arrivò con l’assassinio a Serajevo in Serbia dell’arciduca Francesco Ferdinando erede al trono austriaco. Da una parte si schierarono la Germania(dopo molte insistenze dell’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria) con l’impero austro-ungarico e dall’altra la Russia, la Francia e l’Inghilterra tutti a difesa della Serbia. Era però scoppiata prima, un’altra guerra, quella della propaganda per la mobilitazione militare e politica finalizzata alla” guerra giusta “. Un “’inutile strage “ la chiamò papa Benedetto XV quando fece un appello ai governanti, ed esercitò un’instancabile attività diplomatica per evitare il conflitto ma anche per evitare la sconfitta dell’impero austro-ungarico dichiaratamente cattolico. Non ci riuscì. L’Italia aveva dichiarato la propria neutralità ma già nel parlamento si scontravano neutralisti e interventisti come Mussolini e D’Annunzio, trasversali a tutti i partiti politici. Il re e gli interventisti ebbero la meglio e l’esercito comandato dal generale Luigi Cadorna entrò in guerra il 24 maggio del 1915. Dopo il contenimento dell’offensiva austriaca apparve un nuovo sistema di guerra :quello di posizione con la costruzione delle trincee. Qui i soldati con grandi sofferenze fisiche e psicologiche sopravvissero in mezzo al fango, al freddo e ai cadaveri dei caduti irrecuperabili nell’area che divideva le trincee dei combattenti. Nonostante le vaccinazioni di massa si diffusero, meningiti, tifo, colera e infezioni batteriche.Intanto si era innescata una reazione a catena e nel conflitto entrarono quasi 30 nazioni come la Cina, il Giappone, il brasile, il Canada , gli USA e il Sudafrica per citarne alcune alleate dell’Italia e ignote alla grande maggioranza dei soldati, spesso volontari arruolatisi come molti calabresi per sfamare la famiglia. La lira subì una svalutazione. Sul fronte italiano la politica di ricerca del consenso fu sostituita dall’autotitarismo di Cadorna che raccomandava agli ufficiali la fucilazione sul campo. Tanta durezza si coniugava con l’incapacità strategica di stati maggiori- tranne alcune eccezioni- formati da carrieristi e cortigiani, che ebbero pure il coraggio di riversare le loro responsabilità sulle truppe dopo Caporetto. Cadorna fu destituito e arrivò il generale Diaz . I successi dell’offensiva sul Piave e di VittorioVeneto e l’ausilio delle truppe degli alleati consentirono di terminare il conflitto. Con quasi 10 milioni di vittime. Sconfitti gli austriaci le potenze vincitrici tracciarono i nuovi confini nella carta geografica europea e misero le basi per creare nel 1922 l’Iraq. Ma con l’Iraq la storia si mescola alla cronaca.
Rolando Belvedere
Presidente della sezione calabrese
Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno