Gli studenti dell’IPSSAR – IIS Polo di Cutro in visita al carcere di Crotone

Percorsi di legalità in carcere proposto dall’Autorità Garante dei detenuti del Comune di Crotone

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    Una volta si diceva che per ogni scuola che apre un carcere chiude; ciò per evocare una grande verità: il futuro di un popolo è garantito dall’avere una buona scuola e un sistema formativo efficace. Alla luce dell’esperienza fatta dai nostri studenti, si potrebbe modificare quell’antico adagio dicendo: affinché un carcere chiuda o quanto meno vi siano meno detenuti in un paese, sarebbe sufficiente, più che aprire nuove scuole, che in quelle già esistenti lo studio si trasformasse in un’esperienza significativa, capace di incidere nel ragazzo, di farlo crescere umanamente.

    L’iniziativa ha preso spunto dal progetto “Percorsi di legalità in carcere” proposto dall’Autorità Garante dei detenuti del Comune di Crotone, l’Avv.to Federico Ferraro, ed è stata organizzata in occasione  della Festa dell’Europa, che cade proprio il 9 maggio, per sottolineare l’importanza di conoscere la nostra appartenenza e l’importanza di ciò che la Commissione Europea indica come ruolo chiave per il futuro dell’Uomo, ossia, l’istruzione e la formazione per l’Uomo del nuovo secolo, che oggi, più che mai, deve misurarsi e confrontarsi in una società sempre più complessa, interattiva, multietnica, multirazziale e multiculturale.

    Il Carcere e la Scuola: Due mondi che si devono conoscere e confrontare, per riflettere insieme sul sottile confine tra trasgressione, illegalità e il pensare e il fermarsi prima di scivolare in comportamenti sempre più a rischio. Questa giornata, in cui la Scuola, con gli studenti, entra in carcere, vuole rappresentare un’occasione formativa, un’esperienza stimolante che deve indurre tutti ad una serie di riflessioni importanti, sulla legalità, sui pregiudizi, sulla prevenzione della delinquenza, sui comportamenti dei giovani, sulla vita da reclusi, sull’importanza della libertà, sulla famiglia. Dall’incontro e dal confronto con l’altro, dal conoscere di più noi stessi e gli altri, nasce la necessità di cercare quella spinta interiore a mettersi in discussione, a rimettersi in gioco. Il carcere inteso come momento di recupero culturale e sociale, come opportunità di rinascita che si realizza attraverso un percorso condiviso di crescita personale. E’ importante che la scuola, luogo di educazione, abbia promosso questo incontro con il carcere che è luogo di rieducazione, e la rieducazione passa attraverso l’istruzione e il lavoro. Un incontro tra categorie sociali diverse che si incontrano e si confrontano, un’occasione per discutere e cercare di comprendere meglio il fenomeno della devianza e dell’emarginazione. Il confronto tra gli studenti e detenuti fa capire meglio come si vive in carcere o come sia facile entrarci, ossia capire quanto facile sia superare il punto-di-non-ritorno. Un dialogo, quindi, che consenta di accorciare le distanze, che consenta di ascoltare gli altri, con sensibilità diverse, interpretazioni diverse, ma giungendo alla stessa finalità, e cioè: che il bene più prezioso che l’uomo ha è la propria libertà.

    Detenuti e studenti, seduti insieme all’interno della sala-teatro del carcere, in un confronto sui temi dell’esistenza e della vita, in uno scambio osmotico tra mondi diversi, all’insegna dell’integrazione e della solidarietà. Ai detenuti sono state poste domande, da parte degli studenti, su temi quali la legalità, la trasgressione, la devianza, il pregiudizio, l’integrazione sociale e le risposte sono state motivo di commento, confronto e dibattito che ha arricchito tutti i presenti. Erano lì, faccia a faccia, studenti con detenuti, uomini che avevano alle spalle esperienze di vita fatte di errori, ma allo stesso tempo di amore e di sentimenti, infatti dalle loro parole è emerso che il dolore più grande che porta la detenzione è la lontananza dalla famiglia, dall’amore e dall’affetto che fuori dal carcere avevano, al tempo che non passa mai, al peso della colpa, alla paura per il dopo-carcere. Il nord della loro bussola, il motivo per cui ognuno di loro ha deciso di impegnarsi in questo difficile percorso, è la famiglia.  È stata un’ulteriore conferma del fatto che quando ci si vuole bene si possono raccogliere i pezzi e insieme ricostruire ciò che sembrava essere stato infranto irrimediabilmente: nessuno di loro, chi in un modo chi in un altro, è stato abbandonato dai propri cari.

    Con i loro racconti, con la loro disponibilità, con l’immedesimazione da parte degli studenti, che ha permesso loro di superare pregiudizi e barriere, il muro di ghiaccio iniziale si è sgretolato e si è sperimentato come l’incontro vivo e profondo sia il più potente veicolo di Educazione. Gli studenti avevano condotto, precedentemente, una ricerca sull’art. 27 della nostra Costituzione il quale sottolinea che le pene non possono essere disumane e devono avere un fine rieducativo. Il contatto diretto con la struttura carceraria e l’incontro con i detenuti, un confronto attivo, un dialogo diretto sul senso della pena, della detenzione, delle attività alternative e della partecipazione alla vita di comunità, seppur con le sue limitazioni, ha dato loro la possibilità di tramutare queste conoscenze astratte in una significativa crescita personale. Soltanto parlando con persone che vivono sulla loro pelle la realtà del carcere, ci si rende davvero conto di quanto sia importante la rieducazione, e che non si tratta soltanto di discorsi teorici, ma di qualcosa che si può mettere in atto con esito positivo. Ne sono scaturiti momenti di riflessione seri e impegnativi e molto interessanti, permettendo di far conoscere ai giovani un mondo lontano dalla loro realtà ma vicino perché molto sottile il confine tra il bene e il male. Nei detenuti si vedeva chiaro il desiderio di far riflettere i ragazzi sul loro comportamento, e alcuni di loro si sono rivolti agli studenti con un monito: “Studiate ragazzi, tenetevi lontano dal carcere, perché poi niente sarà più come prima”. Storie di vita, di ricordi e di rimpianti e di un tempo che non torna più, eppure, con la speranza- e la paura- di un futuro migliore, una volta fuori dal carcere. Storie difficili alle prese con l’abuso di sostanze, storie di persone che non nascondono i loro errori e le loro responsabilità “Sappiamo di aver sbagliato, di aver fatto scelte non giuste e di dover pagare“,  ma chiedono alla società di avere un’altra chance, una volta fuori, di poter ripartire da capo, reinserirsi nella società trovando un lavoro, una casa. “Il rischio per noi sta fuori di qui, una volta saldato il nostro debito con la giustizia rischiamo di dover compiere nuovi reati perché non sappiamo come vivere”. 

    Tuttavia si è riflettuto molto su come questa condizione coatta possa essere anche un punto di partenza, riavvio, svolta. Un punto dal quale ricominciare, crescere e cambiare. Parola chiave: riabilitazione. Di sicuro un messaggio ben preciso è passato e rimarrà impreso nelle menti: la persona, ancora una volta, è AL CENTRO. Indipendentemente dal contesto, dal passato, dalle volontà future, l’individuo E’. Solo per questo è degno di considerazione da parte degli altri uomini e di avere la possibilità di riscattarsi a livello personale e morale. L’etichettamento e lo stigma sociale che i detenuti si portano dietro per tutta la vita non facilita certo il loro rientro nella società, dopo aver scontato la pena. Tutto ciò, ha fatto riflettere molto sul fatto di quanto importanti per loro siano gli incontri con chi è fuori e in particolare con gli studenti. Tale riflessione ha fatto sì che espressioni come responsabilità, libertà si siano riempite di senso e di speranza. I temi del reinserimento sociale, del pregiudizio sono tornati più volti nel dibattito.

    Si è discusso sull’importanza della scuola in carcere dato che i detenuti sono corsisti dell’IPSSAR Sezione Carceraria, dove al momento sono stati attivati due proposte progettuali una riguardante:  l’enogastronomia sulla qualità, tradizioni e prodotti tipici calabresi, e l’altra sul teatro: “Mondi di confine, sentieri di ricerca, dentro e fuori…di noi” .Crediamo che sia abbastanza evidente a tutti il fatto che portare la scuola in carcere equivale a portare la cultura dove ha regnato, spesso indisturbata, l’ignoranza. Anche perché la maggioranza dei detenuti non porta con sé un bagaglio culturale accettabile, ma ha avuto la sola “scuola” della strada, della delinquenza, la stessa che li ha “promossi al carcere”. Quindi la scuola offre l’occasione a chi non l’ha mai avuta di conoscere attraverso gli studi nuove prospettive di vita, opportunità per migliorarsi. La scuola, offrendo nuove “finestre” alle quali potersi affacciare per vedere delle alternative a una vita sbagliata, è anche un importante punto di risocializzazione restituendo alla società un uomo non imbruttito dall’ozio, ma più consapevole e più responsabile nelle sue future scelte.

    I ragazzi hanno vissuto un’esperienza unica, intensa ed emozionante, sicuramente utile dal punto di vista della capacità relazionale, ma anche sul piano didattico, perché questo tipo di utenza ti insegna a scegliere le parole, esprimere chiaramente i concetti essenziali e veicolarli nel modo giusto. Questa esperienza, anche se di poche ore, ha permesso ai ragazzi di avvicinarsi al percorso educativo che i detenuti possono intraprendere: ha fatto capire loro che il pentimento e il recupero sono possibili. Le persone, ogni persona – a partire da ognuno di noi – può cambiare. Il messaggio è stato quello di far capire a tutti che, anche in un carcere, come nella scuola pubblica, si può e si deve avere il coraggio dei Giusti e che non basta scontar la pena, bisogna espiare “bene” il male fatto, ovvero cambiare, perché dalle macerie può sempre rinascere qualcosa di buono, perché è nostro compito e dovere leggere in chiave positiva le cose brutte che accadono nella vita, utilizzandole come strumento per voltare pagina, verso la legalità. In sintesi il messaggio importante che è emerso è stata l’idea che occorre fare bene il mestiere di «Uomo», sia di uomo libero che di uomo ristretto per gli errori commessi, infatti esercitare il mestiere di uomo, significa agire in modo da rispettare in noi e negli altri la dignità insita all’essere umano. Non è solo il tempo della pena ma anche il tempo dell’apprendere. E’ importante coltivare il sogno di migliorarsi e di migliorare il mondo in cui si vive, impegnandosi a dare sempre il meglio di sé nello studio così come nel lavoro, nella serenità così come nella sofferenza.

    Al termine dell’incontro, i detenuti hanno regalato un momento emozionante leggendo alcuni loro pensieri, sottolineando che: “Chi leggerà queste poesie leggerà i nostri cuori; per noi è importantissimo, perché in questo modo possiamo sentirci considerati”

    I ragazzi hanno osservato che questo tipo di esperienze favoriscono la riflessione e aprono la mente e hanno voluto racchiudere questo incontro concretizzando i loro pensieri in una lettera aperta ai detenuti densa di significato e di speranze per il futuro:

    Oggi tutto ciò di cui abbiamo potuto avere testimonianza, ci ha reso coscienti di quanto la vita sia importante e non vada sprecata, ma soprattutto che la detenzione non debba essere altro che una parentesi nella vita di ciascuno di voi. Infatti crediamo che, qualsiasi sia l’errore che avete commesso, questo non debba condizionare la vostra vita e le possibilità del vostro futuro. Siamo consapevoli che il mondo esterno può riservarvi dei pericoli nei quali potreste imbattervi, ma vogliamo ricordarvi che non dovete sentirvi segnati dagli errori passati e che, una volta fuori, potete essere persone migliori rispetto al passato. Per quanto ci riguarda, anche noi, essendo maturandi, siamo prossimi ad affrontare il mondo con le sue varie sfaccettature, ma vi promettiamo che, nel nostro piccolo, ci discosteremo dagli errori di coloro che ci hanno preceduto per rendere la società un luogo disposto ad accogliervi e a farvi sentire finalmente persone LIBERE!

    Vi lasciamo con una frase tratta da “Il piccolo principe”:

    «E’ una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto, abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato, rinunciare a tutti i tentativi perché uno è fallito. E’ una follia condannare tutte le amicizie perché una ti ha tradito, non credere in nessun amore solo perché uno di loro è stato infedele, solo perché qualcosa non è andato per il verso giusto. Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza. Per ogni fine c’è un nuovo inizio».

    I maturandi del IPSSAR “

     

    Al momento dei saluti, si ripercorrono i lunghi corridoi con le pesanti porte che si chiudono ad ogni passaggio, fino all’ esterno,  guardando un cielo nuovo con un pensiero: la libertà è il valore più grande che c’è…

    Si ringraziano gli organizzatori di tale evento:

    Avv.to Federico Ferraro  -Garante dei detenuti del Comune di Crotone-

    Prof.ssa Maria Antonietta Crea  –Dirigente Scolastico  Polo di Cutro-

    Prof. Tommaso Pupa  –Vicepreside Polo di Cutro-

    Prof.ssa Ippolita Mungo  –Docente Sezione Carceraria-

    Prof.ssa Franca Mele  – Docente Sezione Carceraria-

    Gli Studenti dell’IPSSAR e i Detenuti della Casa Circondariale di Crotone, che hanno partecipato all’evento.

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