Ripensare Crotone per ripartire

"Le parole d’ordine per ripensare ad un'altra Crotone dovranno essere  poche ma incisive e dovranno essere: Ricucire , rammendare, rattoppare , riutilizzare e rivitalizzare".

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Riceviamo e Pubblichiamo:

Con il passare del tempo mi sto rendendo conto che, parafrasando Flaiano, la situazione generale a Crotone è grave e seria anche se il nostro modo di affrontarla oscilla tra il ridicolo e il grottesco.

Cercherò, con i limiti delle mie capacità , di render conto di questa affermazione , per non dare l’impressione di sparare nel mucchio e a caso.

E lo farò partendo da un constatazione generale .

Mentre nel resto del continente europeo, anche in alcuni posti della Calabria, ci s’interroga e si lavora sulle città per migliorarle e per renderle sempre più a misura d’uomo, a Crotone la discussione è, nel migliore dei casi, ferma  all’antica Kroton, alla città com’era, o, peggio ancora, alla Crotone come sarà, alla città che non sarà mai se il dato di partenza è il nulla. Il nulla che vediamo e sperimentiamo giornalmente.                                                                          

Nessuno, e sarei felicissimo di prendere atto del contrario, che tenti di fare un esame scrupoloso e un attenta valutazione sulla città così com’è.

Sulle condizioni della città nella quale viviamo e vivremo per i prossimi anni. Al massimo ci si limita a segnalare e a protestare per alcune disfunzioni.

Alcune criticità. Generali e generiche. Il traffico. La spazzatura. Il mare sporco. La scarsa illuminazione. La statua d Milone farlocca .

La fantasiosa statua di Pitagora. La fontana di Piazzetta Rino Gaetano tombata . Le panchine trasferite da Piazza Duomo in Piazza Pitagora. 

Per il resto niente. Solo rimpianti. Ricordi. Nostalgia.  Con il codazzo di amenità e banalità che non mi sembra il caso di riportare.  Mentre una seria riflessione sulla città per essere credibile e soprattutto per essere verosimile dovrebbe partire dal presente. Dalle condizioni date.  Da tutto quello che caratterizza le vite di ognuno di noi.

Ed aggiungo senza dimenticare il passato glorioso di questa città. Della città dei tre millenni. Che non può e non deve restare uno slogan. E senza trascurare la visione futura della città del terzo millennio.

Della città come sarà. E di come ce la immaginiamo. E di come  vorremmo che fosse.                                                                                                                 

Questo per dire che con questo atteggiamento culturale ho iniziato un mio personale ragionamento sulla città . Senza cadere nella retorica, sempre minacciosa dietro l’angolo .

E senza farmi trascinare dalla malinconia, sempre in agguato. E ho cercato di farlo in maniera serena.

E non dogmatica. E , soprattutto, senza finzioni.                                                                                                     

Mi pare che in città, seppur tra mille contraddizioni, ci sia una voglia di reagire e una voglia di stare insieme da non disperdere per non cadere nel tranello di quanti ci vorrebbero divisi tra guelfi e ghibellini. Sento e percepisco un accresciuto senso di solidarietà.

Sono portato a fare queste considerazioni perchè con il tempo è sorto in me il bisogno e il desiderio di guardare e raccontare la città con uno sguardo più attento e meno rabbioso.

Scevro da rancori verso chi ha contributo a violentare  e brutalizzare Crotone. Scevro da risentimenti verso chi, colpevolmente , non ha saputo tenere in vita, neanche idealmente, il nostro passato magno greco, e che non ha saputo custodire la nostra storia e la nostra tradizione operaia, la memoria di una storia di lotte e di rivendicazioni che ha segnato , indelebilmente ,  le nostre vite, e la nostra economia, per oltre sessant’anni, arrivando, in nome di una bonifica ancora non avvenuta, a smantellare e distruggere tutto.

Sinanco i manufatti e i luoghi , il simbolo di una storia  unica in tutto il mezzogiorno d’Italia, impregnati di sudore , di sangue e di morte, in cui quotidianamente migliaia di operai si recavano per guadagnarsi, con la dignità del loro lavoro e a fronte di enormi sacrifici e di grandi fatiche, il diritto al salario. Salari che hanno permesso a questa comunità di uscire dallo stato di miseria e di sudditanza dopo secoli di latifondo e di darle una dignità sconosciuta sino a quel momento.                                                                                                 

Da questo nuovo approccio , che mi auguro di condividere con altri, non influenzato da visioni stereotipate, è partita la mia riflessione. Quella di un’altra Crotone . Possibile . E realizzabile . Una città dell’identità e dell’alterità . Della solidarietà e della sostenibilità. E per farlo la base di partenza non poteva che essere la forma urbana in cui si è cristallizzata la città.

Con la citta con cui abbiamo a che fare quotidianamente e con l’ idea che la natura umana è fatta per la comunità.

Per vivere con gli altri. Per stare insieme. Partendo da qui, mi sono reso conto che Crotone non è più una comunità in cui uomini e donne  condividono una storia comune , ma è divenuta, nel tempo,  uno spazio fisico, anonimo e senza identità, in cui uomini e donne condividono un stesso stato, l’isolamento e la solitudine.                                                                                                     

Pensiamo per un attimo a quello che è successo a Crotone dagli anni 50 in poi , dopo il consolidamento del tessuto industriale e produttivo.

Si pensi alla sua massima espansione urbana. Si pensi al momento in cui sono sorte le periferie. E in cui sono nate le periferie attaccate al centro cittadino e al centro storico, divenuti a loro volta periferia . Si pensi al mercato dell’edilizia che a Crotone sembrava inattaccabile e inarrestabile. Si pensi agli anni in cui si riteneva che tutto si potesse reggere sui proventi di quel mondo e che con quei proventi si potessero finanziare la cultura, il welfare e le opere pubbliche.

E che invece sono serviti solo a garantirci la permanenza di una squadra di calcio nella serie C nazionale. Si pensi, per ritornare al mercato dell’edilizia, invece a quello che abbiamo visto e continuiamo a vedere. Le rovine. Le macerie. Il caos. Gli esiti inattesi.

Si pensi al centro storico aggredito e nascosto da parallelepipedi di cemento armato che hanno accerchiato , nascondendola, la nostra storia e hanno offuscato la vita e le anime dei residenti . Vecchi e nuovi.                                                                 

Si pensi alle periferie dormitorio del quartiere Tufolo  Del quartiere Farina. E del quartiere Papanice. Si pensi alla prima parte del lungomare cittadino , quello che va dall’ex Piscina Coni al Cimitero , in cui a partire dagli anni 60 si sono insediati anonimi palazzi di edilizia residenziale che hanno sfigurato il quartiere marinaro .

Si pensi alla seconda parte del lungomare , quello che va dal cimitero al promontorio dell’Irto , costellato di ville e manufatti residenziali nate dagli anni 70 in poi , che hanno rotto la continuità morfologica di un paesaggio come quello dei calanchi , un patrimonio naturalistico unico al mondo .

Si pensi ai vuoti urbani del centro cittadino . Uno fra tutti. Il vuoto urbano tra il Tribunale e l’ex cinema Ariston . Una ferita sempre aperta , in cui convivono degrado e abbandono . Macerie e lordume .                                                                              

Si pensi a Via Mario Nicoletta. La via, più di altre, simbolo del degrado generale.

Un arteria  che partendo da Piazza Pitagora si arresta , in maniera traumatica e insensata, di fronte al piazzale della Stazione, e che, nella parte iniziale, è chiusa da brutti palazzoni e nella seconda parte, quella che parte dall’incrocio con via Pignataro, dalla presenza di piccoli fabbricati fatiscenti che ospitano botteghe artigiane e commerciali, con in mezzo tre vie  perpendicolari che portano una nel quartiere Sant’Antonio, un’altra nel quartiere Acquabona e un’altra ancora nel quartiere Fondo Gesù .

Tre quartieri simbolo del degrado più assoluto, di cui uno interessato da un programma comunitario, il Contratto di quartiere, abortito per colpe e responsabilità ben precise e che come tutti i programmi di rigenerazione urbana sarà difficilissimo riprendere e portare a compimento essendo venuto meno il rapporto fiduciario con i residenti. 

Si pensi a tutto questo e potremmo dire che  è avvenuto con l’edilizia quello che oggi, in maniera altrettanto drammatica, sta avvenendo con i rifiuti.

Oggi, seppur in ritardo rispetto ad altre aree urbane calabresi, l’espansione della città si è interrotta , anche se quel modello urbano legato al cemento armato da noi ,  in maniera ostinata e contraria alla logica e al buon senso , è proseguito sino alle porte del terzo millennio.

Dopo l’ implosione e il collasso di quel modello urbano ci restano periferie degradate e invivibili ,un centro storico abbandonato e stretto tra emarginazione e marginalizzazione , un centro cittadino privo d’identità . Anonimo . E senz’anima. Una città rotta e disgregata.       

Cosa ci resta da fare ? Porre rimedio a tutto questo partendo dalla rigenerazione urbana e dalla riabilitazione urbana (da non confondersi con la mera riqualificazione urbana che si limita alla sostituzione delle mattonelle e delle lampadine e al massimo alla bitumazione del manto stradale) e passare al consumo di suolo zero oggi senza aspettare il 2050. Credo che le parole d’ordine per ripensare ad un’altra Crotone dovranno essere  poche ma incisive e dovranno essere: Ricucire , rammendare, rattoppare , riutilizzare e rivitalizzare .

In poche parole rigenerare e riabilitare il tessuto urbano . Riutilizzando e rivitalizzando gli spazi abbandonati e degradati . Rigenerando pezzi di città che sono divenuti scarti urbani. E soprattutto non consumando  nuovo suolo per non generare ulteriori scarti urbani . Ricucendo, rammendando e rattoppando parti di città altrimenti sfigurati e slegati tra di loro in cui allignano solitudine, disperazione e dolore.                                                                                                   

Ecco quale deve essere il compito e l’impegno per chi si troverà a guidare la città nel quinquennio che verrà. La sfida principale che ci toccherà nei prossimi anni , e per la quale dovremmo essere disponibili a donare parte del nostro tempo , se possibile le nostre esperienze,  sarà  quella di trovare l’oro. Si, l’oro.  L’oro che servirà per coprire le cicatrici di questa nostra città rotta. E quando parlo di coprire le cicatrici mi sto riferendo all’arte giapponese del Kintsugi , con cui si riparano i vasi di ceramica utilizzando cicatrici d’oro che rendono il vaso più prezioso. 

E più affascinante. Quale potrebbe essere nel caso di Crotone questo materiale  prezioso ?  Credo di averlo individuato nelle persone .

Le persone con le loro esigenze. Esigenze reali che vanno affrontate e risolte , ma non a tavolino ma sul campo perchè i crotonesi , come tutti i calabresi, vogliono essere parlati . E tutto questo con la consapevolezza che oggi le persone hanno bisogno di spazi pubblici.

Di piazze. Di parchi. Di biblioteche. Di auditorium. Di teatri. Di pinacoteche. Di musei . Di spazi e infrastrutture per bambini e ragazzi con disabilità e con bisogni educativi speciali . Di ludoteche. E di servizi di prossimità.                                                                                                 

Da qui, io credo, bisogna partire per rendere più bella , più preziosa e più affascinante la città di Crotone. E nessuno di noi , credo, si può e si potrà chiamare fuori da una sfida di questo genere. Di sicuro non io.

Giovanni Lentini    

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