Manica torna sugli atti di violenza divulgati sui social

"Nessuno che abbia visto l’accaduto da una diversa prospettiva, ad esempio, come fare per inchiodare alle proprie responsabilità i gestori delle piattaforme su cui transitano immagini e video lesivi della personalità e della privacy dei soggetti coinvolti"

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Riceviamo e Pubblichiamo:

Prendo spunto da un grave episodio di cronaca per fare una riflessione sul mondo dei media digitali e, in particolare, dei social. E’ accaduto che una lite tra due adolescenti, in cui uno dei due rimane vittima dell’aggressione violenta dell’altro, avvenuta, a quanto mi è dato sapere, oltre un mese fa, è stata ripresa dai coetanei presenti, spettatori, istigatori compiaciuti del pestaggio e divulgata sui social (LINK). Effettivamente, nel vedere quelle immagini si rimane scossi e, per me, ancor di più, avendo riconosciuto uno dei due coinvolti che assicuro essere un bravo ragazzo e per nulla il “delinquente” che la vulgata dei social sta dipingendo nelle ultime ore. Ciò premesso, fermo restando che ogni episodio di violenza deve essere severamente punito, previo accertamento dei fatti e delle responsabilità di ciascuno nessuno escluso (aggressore, vittima, istigatori) e mai giustificato, viene da riflettere in merito allo squallido spettacolo propinatoci ancora una volta dal mondo dei social ove prolifica, purtroppo, senza che si riesca a porvi freno, la bulimica tendenza  del “chattatore seriale” ad esprimere ad ogni costo il proprio pensiero che tale non è mai finendo con l’essere, sempre e comunque, il solito giudizio moralistico. Il problema non è “solo” la violenta e cruda scazzottata ripresa e vergognosamente divulgata: tale episodio, figlio dei tempi e comunque da sempre esistito merita una riflessione a parte, che non spetta a nessuno di noi perché coinvolge la sfera personale delle due famiglie, cui va la mia solidarietà; ma, piuttosto, come bloccare, impedire, ostacolare, reprimere la diffusione arbitraria di immagini personali di vite altrui contro cui puntare il dito tutti coloro che sentono di avere qualcosa da insegnare a qualcun altro. Eric Schimdt, ideatore e proprietario di YouTube, ha affermato in tema di fake news: “il contesto dei social network che funzionano come amplificatori per idioti e persone pazze non era ciò che volevamo”. Anche se qui non siamo in tema di fake news perché si tratta di un fatto di cronaca, ma volendo comunque prendere a prestito l’affermazione di Schimdt sostituendo le parole: “idioti” e “pazze”, potremmo dire: “il contesto dei social network funzionano come amplificatori per persone bisognose di dire sempre e comunque la sua e di apparire per appagare esigenze di visibilità”.

All’indomani dell’episodio di cui sopra è accaduto sui social che il sindaco di Crotone si è lasciato andare ad un banale e scontato predicozzo di tipo sociologico (LINK) con tanto di ringraziamento alle Forze dell’Ordine che “prontamente hanno individuato i responsabili” (sindaco è il loro mestiere… ci mancherebbe…) con critiche all’utilizzo inadeguato dei social (da che pulpito viene la predica… era ora che se ne accorgesse, speriamo che dia seguito a questa presa di coscienza). Predicozzo non di sua competenza né per il ruolo che riveste ma vieppiù inopportuno per la sua provenienza dal mondo della scuola che avrebbe suggerito, di contro, affrontare un episodio di violenza giovanile non con un ovvio e vacuo slogan di richiamo finale alle “armi”:denuncia e responsabilità” ma riflettendo sulle cause e possibili soluzioni per contrastare tali fenomeni ed evitare il loro ripetersi. Siamo di fronte al solito utilizzo dei social per pura propaganda politica, di cui ci siamo francamente stancati. E poi vi è il post del legale del ragazzo vittima del pestaggio, anch’esso ampiamente diffuso, con cui lo stesso ha dichiarato che darà un contributo “perché il fatto sia punito in modo proporzionato” e invita, giustamente, gli utenti dei social a fermare la diffusione del video a tutela della serenità del suo assistito e della sua famiglia oggetto di dibattito pubblico. E infine, la miriade di commenti e giudizi durissimi sulla persona dell’aggressore, cosicché abbiamo un quadro completo e inevitabile dello scenario che si è prefigurato sui social all’indomani dell’accaduto. Un delitto già accertato alla fine di un processo mediatico scaturito dalla diffusione di un video che vede un violento e i suoi complici, una vittima, il verdetto finale, e tutti che saltano sul carro della spazzatura dei social.

E nessuno, invece, che abbia visto l’accaduto da una diversa prospettiva, ad esempio, come fare per inchiodare alle proprie responsabilità i gestori delle piattaforme su cui transitano immagini e video lesivi della personalità e della privacy dei soggetti coinvolti, i veri responsabili di un degradante utilizzo dei social e, quindi, nel caso di specie, anch’essi responsabili di quanto è avvenuto, ancor di più, se si considera che trattasi di minori; nessuno che si sia posto il problema di come arginare il profluvio di giudizi su tutto e tutti senza conoscere i fatti; ci troviamo, invero, di fronte ad un inaudito e sproporzionato atto di violenza da parte di un adolescente che si accanisce su un coetaneo inerme ma cosa abbia provocato tanta gratuita violenza non è dato saperlo, eppure sarebbe necessario per meglio comprendere la verità dei fatti da parte di chi si lancia ad esprimere severi e, peraltro, non richiesti giudizi sul responsabile dell’atto.

Nessuno vuol mettere in discussione il diritto di partecipare ad un dibattito sui social né tantomeno l’opportunità che gli stessi offrono di poter condividere con la comunità degli utenti pensieri e riflessioni su fatti di cronaca ma quando si scade nel giudizio facile figlio dell’emotività senza andare a fondo nei fatti si commette l’errore di vedere solo ciò che galleggia in superficie senza spingersi in profondità. Ci deve pur essere un discrimine, superato il quale vi è mercimonio delle vite altrui da parte di chi consente il transito di video e immagini, ci deve pur essere un limite oltre il quale non vi è più un commento ma un inammissibile giudizio, cui non siamo legittimati perché il valore fondante di un confronto con gli altri è il rispetto delle altrui idee anche quando siamo convinti della giustezza del nostro pensiero e siamo arrabbiati verso chi la pensa diversamente o riteniamo abbia sbagliato, ci deve pur essere un modo per educare al confronto di idee solo dopo aver approfondito il tema della discussione. E’ questo il tema su cui dibattere e prendere posizione ovvero lo scenario da cui prendere le distanze, diversamente, continueremo a subire, di fronte ad un fatto di cronaca che urta la nostra sensibilità, il solito stantio predicozzo e i giudizi moralistici al vetriolo, fino a quando non si presenterà un nuovo episodio che prenderà il posto di quello precedente con riproposizione del noto cliché.

 

Antonio Manica

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