Rigenerazione delle ex aree industriali: un vuoto urbano da restituire alla città

"Le aree industriali, una volta dismesse, creano dei vuoti urbani spesso problematici, a causa di questioni di sicurezza, di degrado sociale e ambientale. Investire nella loro rigenerazione significa trasformare un problema in un punto di forza, restituire al territorio nuovi spazi di valore".

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“Le aree industriali, una volta dismesse, creano dei vuoti urbani spesso problematici, a causa di questioni di sicurezza, di degrado sociale e ambientale. Investire nella loro rigenerazione significa trasformare un problema in un punto di forza, restituire al territorio nuovi spazi di valore”. Grazie alle lezioni del professore Riccardo Mariani, urbanista e direttore del Laboratorio di ricerca sugli insediamenti urbani di Ginevra, sappiamo che le città “sono un ordine e non sono una definizione” e per questo nel corso del tempo affrontano e si confrontano con i cambiamenti sociali ed economici ed oggi, per la prima volta nella storia dell’uomo , con i cambiamenti climatici . Cambiamenti che, inevitabilmente, fanno crescere la necessità di ridisegnare o rigenerare l’esistente per renderlo adeguato ai bisogni e alle esigenze mutevoli e cangianti. Pensare che le città siano un qualcosa di immobile è impossibile. Quello che nelle città valeva ed era indispensabile ieri non vale oggi. Un modello di sviluppo come quello odierno non ci è più consentito e le città sono costrette a cambiare, a partire dall’eccessivo utilizzo di suolo che ci fornisce servizi ecosistemici sui quali si basa la nostra sopravvivenza e svolge numerose funzioni vitali per il benessere dell’ambiente e che non può continuare ad essere consumato all’infinito, senza pagarne il fio. “Un esempio interessante è quello che riguarda le ex aree industriali, la cui evoluzione e successiva dismissione è il risultato di una storia del territorio che si incrocia con quella economica e di impresa, dove un nuovo mondo richiede nuovi prodotti, quindi un nuovo modo di produrre e nuovi luoghi di produzione”. Molto spesso le industrie, sono strettamente legate, connesse e innervate al territorio e alla storia del territorio in cui si trovano e ciò rende queste aree ancor più importanti e assolutamente meritevoli di poter ritornare a nuova vita, ancor meglio se al servizio di quello stesso territorio.  Quando una grande fabbrica viene dismessa si presenta un’occasione unica e irripetibile per trasformare quel luogo e dargli una nuova identità, così che possa offrire nuove possibilità e nuove esperienze, nuovi servizi, nuovi spazi per il tempo libero, per la cultura e, perché no, per il lavoro.
Quando un apparato industriale, e non un singolo opificio industriale, viene dismesso, come nel caso di Crotone, si presenta l’occasione per ripensare e ridisegnare l’intera area urbana e non solo quel sito.

Il recupero delle aree dismesse può essere, e molte volte lo è, il centro di un dibattito a più voci, che coinvolge tecnici, progettisti, amministrazioni, associazioni, cittadini. Dibattito che a Crotone non è mai avvenuto, essendo state quelle aree rimosse dall’immaginario collettivo e lasciate in mano a quanti, su quelle aree, divenute oggetto di desideri inconfessabili e inconfessati, hanno costruito le loro fortune politiche e personali. E non si è aperto e non è avvenuto il dibattito perchè rigenerare un’ex area industriale di quelle dimensioni avrebbe significato ripensare e ridisegnare e dare valore ad un’intera area e un’intera città. In poche parole avrebbe significato avere un progetto e una visione strategica ambiziosa e coraggiosa. Ambizione e coraggio che a Crotone mancano, non esistono, latitano. Le aree industriali dismesse possono quindi trasformarsi in ciò di cui ha bisogno il territorio in quel momento, grazie a idee, piani , progetti e appositi strumenti urbanistici che , nel caso della nostra città, non esistono perché quelle aree erano, sono e dovranno restare un vuoto urbano. Un buco nero dal quale non si sa come uscire perché non si sa come entrarvi. A mio parere tra le tante e diverse soluzioni possibili e immaginabili, una cosa è da tener presente e da non dimenticare. La storia industriale e la valorizzazione di quei luoghi. E  questo al fine di creare spazi per nuove attività industriali e , all’interno di queste nuove attività, spazi e percorsi museali tecnologicamente innovativi , ove possibili, legati alle attività industriali del passato per recuperarne la memoria e non il ricordo , il più delle volte fallace e menzognero. Consapevole che la soluzione giusta non esiste ed ogni realtà è da studiare e approfondire per la complessità che la contraddistingue, perché le aree industriali di Crotone non sono quelle di Corigliano o tantomeno quelle di Lamezia Terme, una soluzione la voglio prospettare.
“In merito ai soggetti promotori di questi progetti, possiamo individuare una prima soluzione che vede l’intervento gestito dalla pubblica amministrazione, che può contare su bandi, fondi e finanziamenti pubblici di diversa natura, con lo scopo di restituire questi spazi alla collettività. Una seconda strada è quella che vede un soggetto privato, nel caso di Crotone la multinazionale Eni, impegnato con investimenti propri nel recupero di un’area da bonificare e da valorizzare. Molto spesso ha più disponibilità economiche rispetto a un ente pubblico e studia eventuali progetti con un approccio imprenditoriale”.
Ritengo che una collaborazione tra questi due soggetti sia possibile e sia da sollecitare e da promuovere perchè la rigenerazione di queste aree dismesse deve coinvolgere sia player privati che pubblici. Credo, senza dilungarmi e senz’attardarmi in soluzioni possibili e praticabili , che per quei siti , interessati , tra l’altro, da progetti di una bonifica odiosamente infinita che data ormai da molto, troppo tempo,  sia necessario un accordo sinergico e virtuoso tra il pubblico e il privato pensando al riutilizzo e al riuso di quelle aree a fini produttivi.
Quelle aree industriali, poste a nord della città di Crotone, che limitano con il costituendo parco fluviale del Neto, una volta bonificate, non prima di conoscerne e normarne la destinazione d’uso, sono da restituire alla comunità per consentire attività retroportuali a servizio del porto, e indirettamente, dell’aeroporto della città. Una soluzione questa che potrebbe rafforzare l’ideazione, la creazione e la realizzazione di un distretto produttivo delle energie rinnovabili, che, tra l’altro, non escluderebbe anzi rafforzerebbe l’utilizzo di una parte di quei terreni, la parte più inquinata, per costruire e realizzare un parco fotovoltaico da mettere a servizio di un grande impianto di idrogeno verde. Soluzione questa che permetterebbe al privato, Eni, proprietario dei terreni e responsabile in solido dei processi di bonifica, di continuare a produrre utili e al pubblico, il Comune di Crotone , di ricevere delle royalties.
Un connubio perfetto , quello del partenariato pubblico privato, che ha trovato riscontro con l’istituzione , presso la presidenza del Consiglio dei Ministri all’interno del dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica , di un settore che si occupa e che certifica la validità,  e la convenienza per gli enti pubblici , dei vari project financing sottoscritti in Italia.

Si tratta solo di superare vecchi schemi e obsoleti stereotipi che hanno portato a considerare e ad etichettare il privato come brutto, sporco e cattivo.  E di considerare il privato un valido supporto che dà, o potrebbe dare, forza e valore agli interventi pubblici, altrimenti fine a sè stessi. Bisogna, in un certo senso, passare dalla demonizzazione ad una valutazione del privato, soprattutto in questi tempi difficili e complicati, come un supporto e un aiuto per rilanciare l’Italia. E, ancor meglio, per rilanciare il Mezzogiorno, la Calabria e Crotone. In special modo oggi, proprio oggi, quando, minaccioso e ostile, alle porte delle popolazioni e dei territori meridionali , bussa forte il vento dell’autonomia differenziata. Autonomia differenziata che prevede, ed esulo, volontariamente, dalle mie precedenti riflessioni, che una parte consistente dei tributi prodotti da aziende e cittadini di una specifica regione rimangano in quella regione anzichè andare all’amministrazione centrale dello stato con ciò determinando , di fatto, una disparità tra le regioni ricche del Nord/Centro Italia e le regioni povere del Sud. Regioni quelle meridionali che si vedrebbero decurtare, senza nessun paracadute, imponenti e importanti risorse finanziarie per pagare scuola, sanità e altre spese oggi garantite dai trasferimenti dello Stato centrale. Circostanza questa che, sommata alla mannaia della spesa storica, non permetterebbe alle regioni di garantire ai cittadini meridionali, in particolare a quelli più deboli e più fragili, i livelli essenziali delle prestazioni. Una tempesta perfetta , ordita e tessuta ai danni del Mezzogiorno da parte dei presidenti di tutte le regioni del nord e del centro Italia, di tutti i partiti, di tutti gli schieramenti e di tutte le coalizioni con gli otto governatori delle regioni meridionali silenti e silenziosi , che mi ricordano , le “tre scimmiette sagge” che non vedono , che non sentono e che , soprattutto , non parlano.
Io su questo e su altri temi non starò in silenzio perchè, a differenza di tanti nostri rappresentanti istituzionali, vedo, leggo e sento quello che avviene attorno a me. E per questo non posso, e non voglio, far finta di niente.
Giovanni Lentini

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