Per invidia abbiamo costruito città, spazzando via tutte le bellezze della natura

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    Scrittrice verzinese, laureata in Filologia Italiana, è ritornata in terra di Calabria dopo alcuni anni vissuti nel profondo nord. Ginetta Rotondo ha collaborato con diversi giornali e con alcune case editrici come consulente esterna. Non solo appassionata di scrittura, lettura, e dizione, è da sempre attratta da tutte le forme di creatività e condivisione; si esprime con l’artigianato, l’arte culinaria e le tradizioni popolari come solo le intellettuali possono e sanno fare. Per crotoneinforma.it offrirà spunti di umanità che sgorgano dall’essere sempre preparata all’ospite inattesa.

    Ad un cero punto mi ritrovo a parlare della legge morale agli alunni di seconda media. Di seconda media? Sì, proprio così, di seconda media. Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Un Kant per caso, capitato nel discorso, mentre disquisivo di Marcovaldo e della sua villeggiatura in panchina. Marcovaldo che voleva dormire nel bel mezzo del giardino pubblico per potersi godere il fresco, il buio naturale della notte, il silenzio, le foglie e il cielo. La pace. Invece, si ritrova a fronteggiare i rumori degli operai che lavorano di notte, i litigi di due fidanzatini seduti su una panchina, il vigile notturno Tornaquinci, il gracchiare della gru del camion della nettezza urbana, il fastidioso lampeggiare del semaforo che, con la sua luce gialla e rotonda, tenta di fare concorrenza alla luna. In condizioni simili, come si può guadare il cielo e contemplare le stelle? Sono troppe le distrazioni che impediscono di alzare lo sguardo, mentre costringono a guardare a terra, a tenere la testa bassa, come i maiali. Siamo riusciti a eliminare il cielo, a cancellarlo. Tanto: a che ci serve? Abbiamo forse bisogno di luna e stelle per illuminare la notte, quando una miriade di lampadine ce la rischiarano meravigliosamente? Qualcuno lo chiama “inquinamento luminoso”, ma la maggior parte della gente non ci fa più caso. Tanto: a che ci serve guardare le stelle? Non è poi così necessario, no? Meglio le nostre luci, che quelle dell’universo. In fondo, imitare gli dei non è stato poi così difficile!

    Ed è qui che mi scappa la frase di Kant. La rifilo ai miei alunni con la foga di una visionaria, forse, ma sicuramente col coraggio e la rabbia di chi ci crede fermamente al cielo stellato sopra si sé e alla legge morale dentro di sé. La legge morale. La legge morale. Un duetto di parole potenti e complesse. E quando i ragazzi mi chiedono cos’è, rispondo che la legge morale è una bussola interna, che indica ciò che giusto e ciò che non lo è. Freno. Cerco di semplificare, ho ventisei dodicenni davanti a me. Sono di fuori, mi dico.

    Poi, chiedo loro di scrivere una piccola riflessione su questo argomento. Le leggiamo in classe, ad alta voce. Quando arriva il turno di una alunna magrolina, coi capelli biondi e gli occhi da cerbiatta, alla fine della sua accorata lettura, scroscia fragoroso l’applauso spontaneo di tutti i compagni. La riflessione recita testualmente così:

    Le stelle sono bellissime, qualcosa di più grande di me, qualcosa di maestoso, un esempio da seguire, qualcosa che ci illumina, che fa il nostro bene. O, perlomeno, lo faceva. Oggi abbiamo inventato una sorta di stelle artificiali, forse per invidia, perché non riuscendo ad arrivare a una tale grandezza e perfezione, abbiamo creato qualcosa alla nostra portata, che non ci potesse superare. Abbiamo costruito città, spazzando via tutte le bellezze della natura, perché ci rendevamo conto che erano qualcosa di troppo grande! Così, abbiamo creato un vero e proprio inquinamento luminoso, capace di non farci più vedere le stelle, capace di nasconderci il bene che sta proprio davanti a noi, ma che noi non riusciamo a vedere. Dovremmo essere più umili, facendoci aiutare e guidare dalla natura, seguire il suo esempio, essere, o perlomeno, provare a essere senza peccato, come lei, così perfetta, così buona. Marcovaldo nel suo piccolo stava cercando di fare proprio questo, di stare a contatto con la natura, per sentirla e imparare da lei. Invece, noi l’abbiamo tolta di mezzo, cacciando via il bene che poteva procurarci. Per invidia, sì, per invidia!” Sorrido. E non mi sento più di fuori. L’alunna si chiama Mariagiovanna Malacari e frequenta la classe II D della scuola media Anna Frank di Crotone.

    Ginetta Rotondo

     

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