PerècceZzioni di: Il Castello Errante di Howl

"Sono scappato tante volte non so da cosa, ma finalmente ho trovato la persona che sento di voler proteggere".

Di Maria Celeste Arcuri:
Il Castello errante di Howl in lingua originale “Hauru no ugoku shiro” è un film d’animazione del 2004 diretto da Hayao Miyazaki. Il lungometraggio, prodotto dallo Studio Ghibli, è un adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones, pubblicato nel 1986, del quale il regista acquistò i diritti. La pellicola fu presentata in concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2004, vincendo il “Premio Osella”, per il migliore contributo tecnico. L’anno successivo in concomitanza al debutto della pellicola nelle sale italiane, Miyazaki fu premiato con il Leone d’Oro alla carriera. Il film conquistò il pubblico e registrò un incasso mondiale di 235,184,110$, diventando così, insieme a “La città incantata” (leggi), uno dei film, dello Studio Ghibli, di maggior fama e successo tanto da essere candidato nella categoria “Miglior film d’animazione” agli Oscar del 2006.
Le ambientazioni ricordano nei vestiti e nell’architettura l’Europa del primo novecento, presumibilmente la zona dell’Alsazia negli anni precedenti al primo conflitto mondiale, di fatto, alcuni degli edifici ricordano quelli della città di Colmar, che Miyazaki ha apertamente riconosciuto come fonte di ispirazione per l’ambientazione del film, ci sono anche molti riferimenti dal genere Steampunk, come le automobili e le macchine da guerra volanti a vapore. La presenza di un’incombente guerra, nella quale anche le arti magiche vengono impiegate come “armi” non convenzionali, non è da considerarsi casuale, infatti non è solo un elemento necessario allo sviluppo dei fatti, ma principalmente una denuncia da parte di Miyazaki nei confronti di quello che stava accadendo in Iraq. Durante tutto il lungometraggio non sarà chiara la vera ragione del conflitto, risulterà essere solo una furia distruttiva che “non si ferma di fronte a nulla”, quasi a sottolinearne l’insensatezza.

rubrica

“Ma quanti sono i nomi che usi, eh Howl? – Solo quelli che mi servono per vivere libero.”
(Il castello errante di Howl, 2004)

La giovane Sophie, lavora senza sosta nella boutique del suo defunto padre. Durante una delle sue saltuarie uscite in città, si imbatte in Howl, un celebre mago molto affascinante ed enigmatico. Sophie, tuttavia, a causa di questo fortuito incontro, diverrà vittima di un terribile maleficio scagliatole contro dalla Strega delle Lande, che travolta da un impeto di gelosia, trasforma la bella e giovane ragazza in una acciaccata anziana signora dall’aspetto grottesco. La trasformazione della protagonista è solo la prima di una lunga serie. Di fatto quasi tutti i personaggi, dietro il proprio aspetto esteriore presentano una sostanza completamente diversa. Lo Spaventapasseri “Testa di Rapa” è in realtà un Principe, la ripugnante Strega delle Lande, privata dei suoi poteri diventa un’inerme vecchietta (a fasi alterne estremamente irritante); Howl stesso dietro il suo bell’aspetto nasconde una forma mostruosa, simile ad macabro corvo gigante. Un chiaro affronto, tutto questo, ad una società che fa dell’apparenza un elemento preponderante per l’ascesa sociale. Dunque tutto ciò che vediamo nel film a primo impatto, è parziale, “c’è molto di più di ciò che appare“. Questo concetto, nella sua complessità si esemplifica perfettamente nei due protagonisti e nel loro rapporto. Il “castello” in balia alla “disposofobia” del suo padrone, simboleggia la caoticità e la complessità che in realtà si celano dietro il personaggio. La fitta “armatura emotiva” che stenta a nascondere e l’estrema fragilità, sono elementi assolutamente indeducibili a primo impatto. Parallelamente, Sophie è il cliché del “brutto anatroccolo“, un aspetto estetico “sgradevole” che fa da involucro ad una bellezza interiore senza pari. Probabilmente le sue sembianze rispecchiano quella che è la percezione che la ragazza ha di sé, infatti, in alcune scene assistiamo a un ringiovanimento istantaneo seppur breve. La protagonista impersona dunque un messaggio importante, ossia, che la bellezza per quanto sia gradevole, è effimera e che quello che davvero conta sta al di sotto dei “vestiti di carne” che indossiamo, perché ciò che sembriamo non coincide necessariamente con ciò che siamo. Il rapporto tra i due tuttavia, riuscirà a consolidarsi solo nel momento in cui il mago, rinuncerà ad alcune delle sue “discutibili priorità” e sceglierà di “non fuggire più“. Scendere a compromessi con se stessi non è semplice, ancor di meno quando si è soffocati da una pesante coltre d’insicurezza. La paura può essere debilitante ed eludere le proprie responsabilità spesso sembra l’unica opzione valida. Il personaggio che rappresenta al meglio questo concetto è Calcifer, un demone del fuoco capace di discernere il male dal bene. Egli è rappresentato come una fiamma, tanto “carina” quanto potenzialmente distruttiva, infatti sebbene abbia un aspetto innocuo, quasi tenero, dà più volte dimostrazione del suo devastante potere. L’entità è inscindibilmente legata al protagonista, quasi sottomessa al suo potere, una condizione a dir poco paradossale che creerà una lunga serie di situazioni sconvenienti per tutti gli abitanti del “castello mobile”. Il rapporto tra Howl e Calcifer è la dimostrazione che solo mettendosi in discussione e cogliendo l’occasione per affrontare i propri limiti, ci si potrà evolvere, al contrario di chi per non incorrere nel fallimento, sceglie di non provarci affatto.