Fase 2: Il ruolo della donna

Riflessione sul ruolo della donna durante il lockdown e ora nella fase, tra emergenza sanitaria, economica e sociale ed incremento dei casi di violenza domestica. "Intervenire sulla struttura del sistema e investire in un Welfare vero, non bonus e sussidi ma investimenti".

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Riceviamo e Pubblichiamo:

“Guardiamo in giro, perché dietro ad ogni quercia, ogni pioppo, ogni acero, ogni abete che dà respiro alle nostre vite c’è una donna che lo abita, cura le foglie, toglie le sterpaglie, nutre il terreno.” 

Durante i mesi di lockdown e ora con l’avvio della Fase 2 si deve porre finalmente, al centro della discussione, il ruolo della donna, nella sua accezione più ampia, quella che realmente la rappresenta.

Ampia perché ampia è la funzione sociale ed economica, perché ampio è l’impegno ed il sacrificio ancora una volta richiesto, mentre residuale è l’attenzione riservata alla tutela e salvaguardia della persona, lavoratrice, madre, figlia.

Sono necessari e non più rinviabili strumenti veri.

È necessario ridisegnare la struttura, mettere in campo un Welfare reale, che non si risolve con la riapertura delle scuole. 

Le misure complessivamente introdotte dal d.l. 18/2020 (relativamente a congedi genitoriali e bonus baby-sitting, ndr) per rispondere a una temporanea sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche delle scuole di ogni ordine e grado, a fronte del venir meno di tale carattere temporaneo, e della annunciata riapertura delle scuole solo a partire dal mese di settembre, si rivelano sotto diversi aspetti insufficienti.

E neanche l’estensione da 15 a 30 giorni per il congedo parentale straordinario e l’aumento del bonus baby sitter previsti dal decreto “Rilancio” sono misure sufficienti.

Si delinea il pericolo di una progressiva fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro, in particolare in alcuni contesti lavorativi, nei quali già esiste un gap retributivo tra uomini e donne a parità di mansioni svolte, nonché nelle aree sociali e nelle famiglie più a rischio”.

E’ vero che, alla luce della parità genitoriale, il congedo è pensato per entrambi i genitori, ma è altrettanto vero che esiste il rischio che la parificazione tra le figure genitoriali nella gestione delle nuove esigenze familiari determinate dalla pandemia in atto, resti più una petizione di principio che una concreta modalità di organizzazione e conciliazione delle nuove esigenze di vita e di lavoro.

Ecco perché è necessario che, in fretta, si pensi ad altri strumenti che siano vicino alle famiglie e a chi come le donne, al loro interno, rischia di farsi carico di tutto l’enorme peso economico e sociale della crisi in corso.

Su 100 occupate con almeno un figlio con meno di 15 anni, 74 hanno lavorato ininterrottamente (contro 66 uomini nella stessa condizione), il 12,5% ha ripreso il lavoro dallo scorso 4 maggio, mentre il 13,5% dovrebbe ritornare alla propria attività entro la fine del mese. Ma non è detto perché potrebbero non riuscire a gestire la conciliazione tra lavoro e impegni familiari.

Se si guarda poi allo smart working, si scopre che sono le lavoratrici meno qualificate quelle che dovrebbero necessariamente recarsi in sede per lavorare e parallelamente accudire in prima persona i figli con meno di 15 anni. Si tratta di 1 milione 426 mila lavoratrici (il 48,9% delle lavoratrici mamme), di queste circa 710 mila percepiscono uno stipendio netto inferiore ai 1.000 euro.

Indipendentemente da sostegni economici e assistenziali previsti dai decreti, la donna, oggi più che mai, è il vero punto di riferimento per i bambini in casa per via degli asili chiusi e i nonni a distanza di sicurezza, per i figli più grandi alle prese con la didattica online e gli adolescenti, impegnati a combattere sui social un’età complicata da un mix di emozioni.

La pandemia da coronovirus ha dimostrato che molte professioni permettono un lavoro in remoto (smart working) che fino a poco tempo fa  veniva  guardato con sospetto, ma ciò che potrebbe fare realmente la differenza è la possibilità di avere orari più flessibili, part time verticali o orizzontali, e la presenza di asili nido aziendali, nel pieno rispetto della sicurezza.

Se l’aspetto economico riveste notevole importanza, un’altra emergenza ha ripreso vigore nel silenzio delle mura domestiche, nel silenzio di una costrizione imposta dall’emergenza sanitaria:la violenza sulle donne.

Non può e non deve essere ignorato l’aumento dei casi di violenza sulle donne registrato nell’ultimo periodo. L’entrata in vigore delle misure restrittive per contenere il contagio da coronavirus, infatti, sembra aver aggravato un fenomeno culturale vergognosamente presente nel nostro Paese.

I centri antiviolenza hanno registrato ad aprile 1039 telefonate e segnalazioni, contro le 397 dello stesso periodo del 2019. Nel mese di marzo i contatti sono stati 716 mentre erano stati 670 nel marzo 2019.

Che la maggioranza degli episodi di violenza sulle donne avvenga tra le mura di casa è un dato che chi lavora nei centri antiviolenza conosce fin troppo bene, e che adesso sembra essere confermato dalle condizioni di vita a cui dobbiamo attenerci da quasi due mesi.

Quindi #iorestoacasa, certo, ma resto a casa con chi? Purtroppo non tutte le donne hanno la fortuna di sentirsi al sicuro tra le mura domestiche. È inaccettabile che la casa, il rifugio umano per eccellenza, dove ci si dovrebbe sentire protetti, sereni e circondati dai propri affetti e dalle proprie comodità diventi per troppe donne un luogo pericoloso.

Maria Bonaiuto 
Marianna Barilari
Marina Audia
Valentina Montalcini 

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