Quando il mostro è dentro casa, la storia di Mira

La violenza non ha confini, si interseca nei meandri più oscuri, persino in quel modo familiare dove ognuno dovrebbe sentirsi protetto e amato.

Il 25 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3. In Italia i dati ISTAT mostrano che il 31,5% delle donne ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Analizzando i dati per fascia di età si rileva che il 57% degli accessi al Pronto Soccorso hanno tra i 18 e 44 anni; il 24,4% hanno tra i 45 e i 64 anni; il 14,3% le minorenni e infine il 4,3% le donne con più di 64 anni. Molto spesso il mostro di turno alberga tra le mura domestiche.

La storia che sto per raccontarvi è un fatto di cronaca reale, una storia di quelle che non vorresti mai ascoltare. La storia di una ragazza di 16 anni, pakistana. Ho scelto un nome di fantasia, Mira. Mira è pakistana. E’ arrivata in Italia all’età di 5 anni con la sua famiglia a bordo di uno dei tanti barconi della speranza. Quelle onde del mare hanno cullato i suoi sonni, le hanno dato un caldo abbraccio. Mira approda con la sua famiglia a Crotone e qui vive con i suoi genitori e i suoi fratelli. La sua infanzia si alterna tra lezioni a scuola e pomeriggi di giochi all’aperto con le sue amichette. Mira ha un sorriso disarmante, ha la luce negli occhi e come tutti tanti sogni nel cassetto del suo cuore.

Mira cresce, diventa una bellissima ragazza di 16 anni. Nel suo cuore, però, cela un immane dolore, che lentamente dilaga e la trascina in un vortice senza via d’uscita. La violenza non ha confini, si interseca nei meandri più oscuri, persino in quel modo familiare dove ognuno dovrebbe sentirsi protetto e amato. Si interseca nelle vene di quello che hai sempre visto come il tuo supereroe, che dovrebbe proteggerti e invece si trasforma in un mostro e ti strappa la speranza. Un mostro che si sazia del tuo amore nonostante tutto, del tuo perdono, del tuo sorriso forzato e dei lividi sul corpo che nascondi con il fondotinta o con i maglioni di lana. Un mostro che veglia sul tuo sonno, che ti fulmina con un solo sguardo. Un mostro che si ciba delle tue lacrime ed il cui respiro lo senti su ogni parte della tua pelle. Quel mostro che chiamavi padre, già quello che avresti voluto ti accompagnasse all’altare il giorno del tuo matrimonio. Quello che avrebbe tenuto tuo figlio in braccio quando saresti diventata madre. Tuo padre, quello da cui hai preso i lineamenti del viso ed il suo sorriso spento ormai da una vita ed affogato nel bicchiere della rabbia e della violenza.

Ed allora cosa resta? Un dolore che lacera e consuma, delle ferite che sanguinano e non si placano. Un buio che accompagna l’esistenza ed una luce che sembra ormai distante. In quell’accorato silenzio forse solo la morte ti giunge incontro. Una corda nel vuoto che ha spento il motore del suo cuore, quel cuore che aveva già smesso di battere per amore tra l’indifferenza di chi sapeva e si è voltato dall’altra parte, con la futile giustificazione non è un problema mio, non ci posso fare nulla. Le frustate sulla schiena, gli schiaffi sul viso, le offese e le umiliazioni per la sola colpa di voler vivere ed essere adolescente.