All’I.I.S. Pertini – Santoni si parla di identità di genere e di migranti LGBTI+ foto

Nel corso degli interventi, è stato ricordato che, tutt’ora, in molte parti del globo, vigono legislazioni che criminalizzano l’orientamento sessuale, l’identità o l’espressione di genere e prevedono la discriminazione, la reclusione e, persino, in alcuni casi, la pena di morte.

Presso l’Istituto Pertini Santoni, si è tenuto un incontro organizzato dal Comitato Tre Ottobre, con la partecipazione di Amnesty InternationalItalia, Scuola Superiore Sant’Anna, CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta), A.S.G.I.( Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione) e Compagnia di San Paolo,  in cui si è affrontato un tema, poco considerato, ma che è causa di profonda emarginazione sociale: quello dei migranti  LGBTI+ e delle diversità di genere. A promuovere l’evento sono state la prof.ssa Vincenza Pellegrino, referente per l’Intercultura ed esperta di educazione alla parità e al rispetto delle differenze di genere, insieme alla prof.ssa Ornella Pegoraro, referente Erasmus e membro della Commissione Intercultura dell’Istituto. Generalmente, non ci si preoccupa a sufficienza delle politiche che riguardano le identità di genere e le discriminazioni sessuali, mentre sarebbe indispensabile educare le nuove generazioni al rispetto di tutti i diritti inviolabili delle persone. Il dibattito, scaturito dalla curiosità e dall’interesse degli studenti, si è focalizzato sulle problematiche legate agli LGBTI+, che sono, quasi ovunque, emarginati, perché la società tende ad escludere, ancora oggi, tutto ciò che non rientra nella, così detta, “normalità” e sviluppa meccanismi culturali di difesa, rispetto all’ancestrale paura della diversità. I relatori hanno analizzato l’allontanamento sociale che colpisce questi soggetti e che si amplifica, a dismisura, quando essi sono, anche, migranti, in quanto all’esclusione dal gruppo originario di appartenenza, si assomma quella del paese di approdo, per cui sono, di fatto, vittime di una doppia emarginazione. Ciò continua a perpetrarsi, nonostante i loro diritti siano, oramai, formalmente, riconosciuti da moltissimi Stati, in base alla Convenzione ONU di Ginevra, del 1951 e, in ambito europeo, alle diverse direttive, in materia d’asilo, che costituiscono il Common European Asylum System. Nel corso degli interventi, è stato ricordato che, tutt’ora, in molte parti del globo, vigono legislazioni che criminalizzano l’orientamento sessuale, l’identità o l’espressione di genere e prevedono la discriminazione, la reclusione e, persino, in alcuni casi, la pena di morte. E anche laddove non sussiste una specifica legislazione, la diversità sessuale e di genere, porta molte persone ad essere sottoposte a persecuzioni, abusi e violenze, per opera delle istituzioni o, direttamente, delle popolazioni stesse. I ragazzi hanno preso coscienza della situazione italiana e dell’Unione Europea, in cui, chi è a rischio di discriminazione nel paese d’origine, a causa dell’identità sessuale o di genere, può richiedere asilo e protezione.

Benché il nostro paese rappresenti un esempio positivo, per quanto riguarda i criteri di concessione dei benefici è, però,  ancora carente sul piano della pratica attuazione delle politiche di accoglienza relative a tali soggetti. Sono emerse, infatti, le molte difficoltà che si incontrano nel loro inserimento, sia abitativo che lavorativo e la quasi impossibilità di integrazione con gli altri connazionali che, spesso, li spinge a nascondere la propria identità, anche quando sono ospiti nei centri di accoglienza, dove subiscono, comunque, violenze e discriminazioni e sono condannati all’isolamento. Al problema della mancanza di strutture dedicate, si aggiunge quello, primario, di una specifica formazione degli operatori, che dovrebbero possedere sensibilità e conoscenze adeguate, che rispettino la dignità e la privacy di queste persone e che siano utili a rimuovere i motivi della loro esclusione. Alla luce dell’analisi del fenomeno, è stata sottolineata la rilevanza degli atti normativi ed istituzionali, successivi alla legge n. 77 del 2013, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Istanbul e  che hanno, sempre, ribadito  il rilievo imprescindibile dell’educazione, nel prevenire e contrastare la violenza sulla donna e la discriminazione di genere. Già la stessa Convenzione rilevava la necessità di includere nei programmi scolastici, di ogni ordine e grado, materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati ed il reciproco rispetto. Successivamente, il “Piano nazionale per l’educazione al rispetto” e le “Linee Guida Nazionali”, hanno promosso iniziative per diffondere la cultura del rispetto, l’accettazione delle differenze e il superamento dei pregiudizi, coinvolgendo studenti, docenti e genitori. L’intero impianto normativo italiano ed ogni intervento istituzionale, sono collocati nella cornice di attuazione dell’articolo 3 della Costituzione, che attribuisce a tutti pari dignità, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È di fondamentale importanza, quindi, che un diverso approccio culturale si sviluppi, in primo luogo, nella scuola, affinché i giovani possano veicolare nuovi concetti di tolleranza e di inclusione, che vadano oltre le disuguaglianze e le differenze, premessa indispensabile per la reale partecipazione di ognuno alla vita della comunità e per l’affermazione di una cittadinanza globale.